Francesco Borromini è l’autore dell’altare monumentale dei Filomarino, nel cappellone a sinistra del transetto nella chiesa dei Santi Apostoli, commissionato dal cardinale Ascanio Filomarino e inaugurato nel 1647. Quasi un secolo dopo, nel 1721, i teatini concessero il cappellone di fronte al cardinale Francesco Pignatelli che diede incarico a Francesco Solimena di progettare tutta l’opera, suggerendo al maestro di riferirsi, nel disegno, all’altare Filomarino. Solimena, che era ormai uno degli artisti più famosi del suo tempo, non si poteva limitare, però, a fare la copia di un’opera seppure già celeberrima ma, in alcune significative varianti, sente il bisogno di lasciare la sua impronta. Intorno alla preesistente immagine miracolosa dell’Immacolata, tavola tardo cinquecentesca, il maestro colloca quattro dipinti che esegue su rame per raggiungere l’effetto brillante dei quadri a mosaico del monumento di fronte. Di essi, ricordati per la prima volta dal biografo napoletano Bernardo De Dominici (1742-1744) e poco considerati dalla critica successiva, esistono delle repliche contemporanee e quasi identiche agli originali, attribuibili a un seguace di Solimena, finora mai collegate alle opere dei Santi Apostoli (Fondazione Zeri, catalogo on line). Indicate sempre genericamente come Virtù sono, invece, da identificare con: La Sapienza divina, La Fede religiosa, L’Umiltà, La Castità.
Solimena era il grande erede di una tradizione pittorica che aveva avuto la sua punta di diamante in Luca Giordano; nel 1723, data entro la quale devono collocarsi questi dipinti, egli era uno dei pittori più richiesti dalle corti europee e dai grandi collezionisti. Qui la sua pittura è caratterizzata da un forte vigore plastico e da una solida struttura compositiva, da una sobria espressività e da un’eleganza formale mai stucchevole, da una dimensione più intima e domestica, rispetto alla teatralità ‘metastasiana’ delle sue opere di soggetto storico. Nella stesura del colore emerge l’esaltante bellezza delle ‘macchie’ cromatiche, rese vibranti per effetto della luce intensa. Tali caratteristiche sono emerse dopo il restauro; infatti i quattro rami erano offuscati e resi opachi da vernici scuritesi con il tempo e dalla presenza di un beverone, probabilmente passato nell’Ottocento, con l’intento di fissare gli strati pericolanti del colore. Le Allegorie ispirano un senso di serenità e un sentimento impalpabile di «suprema malinconia» nel quale, come efficacemente aveva scritto Ferdinando Bologna, «sembra esprimersi il tono dominante dell’anima del secolo».
Annachiara Alabiso
Foto Aldo Settembre