Si tratta di un fondo di coppa concavo, di vetro incolore, largamente incompleto. Sul disco di base è stata applicata una foglia d’oro, su cui si è ritagliata e incisa in un secondo momento la decorazione. Il vetro di copertura è quasi completamente perduto. Entro una cornice a denti di lupo, ecco la scena principale: sopra un prato con tocchi di smalto verde Ercole, nudo, con la leontè (mantello fatto con pelle di leone) che morbidamente ricade dietro le spalle, è rappresentato nell’atto di consegnare al re Euristeo il cinghiale Erimanto. Ercole ha il braccio destro sollevato per reggere il cinghiale, che gravita sulla sua spalla sinistra. Attraverso confronti con altre scene simili si può supporre che la parte mancante, a destra, fosse occupata dalla figura di Euristeo che spuntava dal pithos (grande giara) con le braccia sollevate. A sinistra dell’eroe si coglie il particolare di una pianta dal fusto alto e sottile, sormontata da un grosso fiore a nove petali, sopra il quale si stagliano cinque petali in smalto rosso. Va sottolineato il fatto che nel secondo decennio del Settecento, Filippo Buonarroti trovò il manufatto in condizioni migliori rispetto alle attuali, e riuscì a riprodurre anche il volto dell’eroe, che poi andò perduto. Oggi tuttavia l’attenta osservazione della superficie vitrea con l’ausilio di lenti e di luce radente ha consentito di individuare i tratti salienti del volto, del collo e del torace dell’eroe. L’attenzione nella riproduzione dei dettagli anatomici e l’uso che si intuisce sapiente dello scorcio e del chiaroscuro inducono ad attribuire il vetro ad un’officina di alto livello artigianale, in grado di fornire all’insieme un aspetto pittorico, avvicinando l’opera alle raffigurazioni di Ercole a pittura e a mosaico. Si può dunque collocare l’opera tra la fine del III sec. e la prima metà del IV secolo d.C.
Lo studio dell’opera in questa occasione ha consentito di individuare con precisione l’unica parola (la forma verbale «vivi») che rimane dell’iscrizione greca posta lungo il perimetro interno della cornice a denti di lupo. È così possibile proporre la ricostruzione dell’intera iscrizione incisa sul vetro: «vivi senza affanni tutto il corso della tua vita». Tale espressione è da ricondurre al complesso culto di Ercole che ebbe una grandissima diffusione in ambito romano e proseguì anche in epoca tardoantica. Il tema delle sue fatiche si ritrova sia in manufatti di pregio sia in oggetti di uso quotidiano. Ercole/Eracle è in effetti investito da una pluralità di valenze e significati, etici, catartici, religiosi: da simbolo di forza e virtù in cui si identificano i Caesari, a emblema di resistenza della nobiltà pagana nei confronti della nuova fede cristiana, al valore, in ambito sepolcrale, di compagno e guida dei defunti, come custode del punto di accesso all’Ade. Pur non essendo noto il luogo del ritrovamento di questo vetro è possibile ipotizzare una provenienza dai cimiteri sotterranei posti nei dintorni di Roma. Generalmente i vetri dorati, realizzati in occasione di festività e ricorrenze particolari, venivano privati delle pareti per inserire il solo fondo decorato nella malta di chiusura dei loculi, come segno distintivo e ornamento coloristico della tomba. Occorre tuttavia ricordare che la rottura dei vetri dorati, reimpiegati nelle catacombe, è stata anche connessa con i riti della sepoltura, cioè con la rottura apotropaica dei recipienti utilizzati per il pasto funebre.
Il manufatto è stato oggetto di precedenti interventi nel Settecento e anche nel secolo successivo. Sulla lamina d’oro si sono osservati, in diversi punti, incrostazioni di materiale biancastro: sono probabilmente residui alterati del vetro di copertura settecentesco, ormai distaccato. Sui resti più consistenti di quest’ultimo, collocati lungo il perimetro superiore del disco di base si è notata una concrezione calcarea compatta e aderente. Tra l’anello di base e il vetro superiore si trovavano resti di malta, residui dell’ultima giacitura dell’oggetto e depositi terrosi incoerenti. Il verso dell’oggetto è apparso, dopo lo smontaggio (su cui cfr. scheda 11, Restituzioni 2006), particolarmente degradato: la superficie era ricoperta di vari strati di silice idrata decoesa. Il protettivo superficiale è stato asportato mediante etanolo ad impacco: veli di carta ne hanno consentito la rimozione impedendo alla doratura di strapparsi. La pulitura delle superfici di frattura è stata effettuata con tamponi imbevuti d’etanolo e acqua deionizzata, seguita da una rifinitura meccanica a bisturi. Le concrezioni calcaree sono state eliminate con l’applicazione ripetuta di resina a scambio ionico – cationica forte. Si è così restituita la trasparenza al vetro ed è ora possibile vedere la decorazione dorata sottostante. Le parti di doratura che si erano distaccate e spostate sono state ricollocate correttamente e fissate con resina polivinilbutirralica al 5% in etanolo. La superficie del verso è stata pulita dai residui dei collanti precedenti mediante tamponi imbevuti di etanolo e di acqua deionizzata, seguiti da rifinitura meccanica a bisturi. Tutta la superficie è stata protetta con resina acrilica (Paraloid B72) al 2% in acetone. Il riassemblaggio è stato effettuato con resina epossidica alifatica HXTAL NYL. I frammenti sono stati fissati mediante punti di resina cianacrilica ed il collante definitivo è stato infiltrato lungo le linee di frattura. Dopo la rifinitura superficiale, è stata rinnovata la protezione di tutta la superficie del vetro con uno strato di Paraloid B72 al 2% in acetone.
Redazione Restituzioni