Il vetro dorato di colore verde pallido costituiva in origine il fondo di un recipiente, probabilmente un piatto o scodella. È formato da tre strati sovrapposti di vetro: la decorazione a foglia d’oro è posta tra il vetro di base e quello intermedio. Manca completamente il piede ad anello. Anche le pareti mancano, ma in questo caso si può pensare ad una rottura intenzionale, legata ad un riutilizzo dell’oggetto in ambito catacombale. La decorazione è di grande rilievo e fascino. Inquadrata entro una cornice circolare a fascia presenta al centro una figura stante, riccamente abbigliata con una lunga tunica stretta alla vita da un’alta cintura a borchie, con un elegante mantello in smalto rosso e con preziosi calzari ai piedi (forse coturni). Nella mano destra questa figura maschile stringe una palma, mentre nella sinistra abbassata due tibie (strumento musicale a fiato). Ai lati del personaggio si trovano due pilastrini, uno sormontato da cinque corone di foglie con diadema e l’altro che sorregge una maschera teatrale ed ha sulla faccia frontale due corone (la prima reca più in alto l’iscrizione Ilia; la seconda Capitolia). Lungo la cornice e tra le figure si dispone l’iscrizione principale («Invicta Roma [Capitolior(um)?] / Ilior(or)[um]»; sul pilastrino invece: «Ilia / Capitolia»). La scena è stata variamente interpretata già nell’Ottocento, anche se ad uno studio di Raffaele Garrucci del 1858 si deve il primo corretto inquadramento della vicenda. L’ipotesi è che il vetro rappresenti la personificazione dell’agon Capitolinus di Roma, con una serie di elementi simbolici che rinviano alle diverse gare della manifestazione: la palma e la corona sul pilastrino al certamen gymnicum; le due tibiae e le cinque corone al certamen musicum; lo stesso pilastrino e la corona metallica sul pilastrino opposto al certamen equestre. Il nome dato alla manifestazione va collocato nel clima di rinnovata attenzione per le origini troiane di Roma (Ilium è il nome latino di Troia). A partire da questa interpretazione sono stati avanzati aggiustamenti e approfondimenti, tra cui quello recente di Maria Letizia Caldelli (1993) che individua nell’immagine il riferimento a due celebrazioni (l’agon Capitolinus e l’agon Solis) e propone di interpretare il personaggio come la raffigurazione allegorica dell’Agone (lo sportivo o insomma l’agonista per antonomasia), colto proprio nel momento emblematico della premiazione.
Per tipologia e tecnica di realizzazione il reperto può essere datato al IV secolo d.C. e rientra probabilmente tra quegli oggetti di pregio che nel tardo impero erano offerti in dono agli spettatori più eminenti dei giochi cittadini. La provenienza del vetro è ignota ma le sue condizioni, e in particolare il modo di rottura, fanno pensare ad un riutilizzo in ambito cristiano, come ornamento di qualche loculo catacombale. Considerando l’esplicita condanna dei Padri della Chiesa nei confronti degli spettacoli e dei giochi, l’ipotesi va però contestualizzata. È probabile infatti che al di là dei proclami la convivenza tra pagani e cristiani fosse al tempo più pacifica e i costumi, come anche gli atteggiamenti della vita quotidiana, fossero meno rigidi nella distinzione delle due diverse appartenenze religiose. Da un lato in questo modo ai giochi si era tolto ogni riferimento religioso, dall’altro gli spettacoli rappresentavano comunque un elemento che caratterizzava la vita urbana e civile, rinforzando l’unità comune nel nome dell’Impero e sotto l’egida dell’Imperatore.
Tutte le superfici esposte del reperto erano alterate, ciò anche a causa di un collante a base di colofonia utilizzato in passato per riassemblare i frammenti e poi steso come protettivo. Anche l’interfaccia tra i due vetri del recto appariva opacizzata, soprattutto in corrispondenza delle fratture, laddove la penetrazione degli agenti deteriogeni era stata più profonda. La prima operazione è consistita dunque nella rimozione del protettivo superficiale mediante etanolo ad impacco e tampone. Il vetro è stato a lungo esposto ai vapori di etanolo in ambiente confinato per ammorbidire il collante e procedere alla separazione dei frammenti. Le superfici di frattura sono state pulite con tamponi imbevuti d’etanolo e la rifinitura è stata meccanica, con il bisturi. Mediante un prodotto chimico ossido-riducente (BDG 86) si è cercato, con scarsi risultati, di attenuare la colorazione bruna degli ossidi di manganese infiltratisi tra gli strati di vetro. Con resina epossidica alifatica HXTAL NYL si è proceduto al riassemblaggio del vetro e all’integrazione di alcune lacune non passanti; i frammenti sono stati fissati nella corretta posizione con punti di resina cianacrilica. Tutta la superficie del vetro è stata protetta con uno strato di resina acrilica all’1% in acetone.
Redazione Restituzioni