Si tratta probabilmente del fondo di un grande piatto. È formato da due strati di vetro soffiato, incolore e trasparente: sul vetro inferiore è stata applicata la foglia d’oro decorata a incisione. Il fondo del vetro di base era piegato esternamente verso il basso per realizzare il piede ad anello, conservato solo parzialmente. Le fratture in corrispondenza delle pareti del recipiente appaiono intenzionali, legate al reimpiego con funzioni decorative in ambito catacombale.
L’immagine presenta un gruppo familiare composto dai due coniugi davanti ai quali sono disposti i quattro figli, le due femmine in mezzo e in primo piano i due maschi. I sei personaggi riccamente abbigliati sono in posizione frontale e con i volti leggermente impostati di tre quarti: i due coniugi e i due maschietti volti l’uno verso l’altro, le due femmine invece appena girate verso destra. L’uomo sembra avere capelli e barba corti; indossa tunica e pallio contabulato. La donna ha un’acconciatura cosiddetta ‘a elmo’, con i capelli suddivisi in due bande che incorniciano il volto; indossa una tunica ricamata sulla scollatura al di sopra della quale porta uno scialle, o una palla. Le due bambine, abbigliate lussuosamente come la madre, hanno un’acconciatura del tipo cosiddetto ‘Mellonenfrisur’, in cui i capelli, divisi in strette e gonfie bande parallele, sono portati all’indietro lasciando scoperte le orecchie, e si raccolgono sulla sommità del capo in un’alta crocchia a treccia racchiusa in una reticella. I due maschietti sono raffigurati a mezzobusto. Vestono una preziosa tunica realizzata in foglia d’argento sottolineata e ravvivata sulla scollatura da una linea in smalto rosso. Hanno capelli tagliati corti, tranne una lunga ciocca che scende sulla destra del capo: si tratta del cosiddetto ‘ricciolo di Horus’ che contraddistingue i bambini posti sotto la protezione della dea Iside.
Il restauro ha consentito di rileggere l’iscrizione che compariva sull’antico vetro e di restituire al manufatto il suo autentico significato. La traduzione del testo epigrafico infatti risulta ora la seguente: “Thallusa […] con i vostri genitori, bevete, vivete!”. Contrariamente a quanto si era supposto il vetro dorato non è offerto, quale dono augurale, ai genitori, ma ai figli: almeno a due o, come più probabile, a tutti e quattro. Impossibile risalire all’effettiva motivazione del dono.
L’analisi stilistica sulle vesti e sulle capigliature consente di inquadrare il vetro nella prima metà o forse nel secondo quarto del IV secolo d.C. Esso si inserisce tra le più pregiate produzioni vetrarie di epoca tardo-antica. Dovette essere realizzato in un’officina di alto livello artigianale, forse la stessa da cui pochi decenni prima era uscito il fondo dorato di Dedalius (cfr. Restituzioni 2006, scheda n. 9).
La presenza del ‘ricciolo di Horus’ sulla testa dei due fanciulli e il ricco abbigliamento dei personaggi identificano la famiglia come appartenente all’aristocrazia conservatrice dell’Urbe, in cui il paganesimo, che si appoggiava anche a culti misterici di origine orientale come quello di Iside, trovava il suo ultimo baluardo contro il cristianesimo ormai dilagante e imperante.
I danni agli strati vitrei sono subito apparsi evidenti. I due strati di vetro si presentavano pluriframmentati in maniera difforme tra recto e verso. La decorazione metallica, eseguita con foglia d’oro e d’argento, si manteneva invece in discreto strato di conservazione. Precedenti interventi conservativi hanno reso la situazione più complessa a causa dell’impiego di colle organiche (rilevate mediante spettrometria IR) e altri agenti consolidanti. Per eliminare gli abbondanti depositi di colofonia sulla superficie si è proceduto con vapori e impacchi di etanolo puro e rifinitura con bisturi. Le stuccature di cera bianca sono state completamente asportate mediante l’azione combinata di bisturi e di tamponi imbevuti di tricloroetilene. Alcuni frammenti, che erano mal collocati, sono stati staccati e reinseriti, mediante resina cianacrilica, nella giusta posizione. La colla proteica che si era infiltrata sopra la foglia d’oro si è potuta asportare solo nella parte superficiale: la decorazione aurea infatti aveva ormai aderito al collante.
Conclusa la lavorazione, tutte le superfici sono state protette con resina Regalrez 1126 al 20% in white spirit, al di sopra della quale è stato applicato a pennello uno strato di resina Laropal K80 chetonica disciolta in acetato di etile al 5%.
Redazione Restituzioni