Il gruppo plastico in terracotta policroma raffigura una scena molto toccante di Pietà. La Madonna, consumata dal dolore, tiene sulle gambe il corpo inerme del Figlio, le mani giunte, quasi nell’atteggiamento di preghiera, il volto contratto nello spasmo del lamento. Il Cristo, esangue, è rappresentato con grande realismo, la testa riversa all’indietro con i lunghi capelli che pendono nel vuoto, il braccio scivolato a terra. Il volto è ormai indurito dalla morte, gli occhi sono serrati mentre le labbra sono socchiuse, come a esalare l’ultimo respiro.
Il Vesperbild, letteralmente “immagine del vespero” è un tipologia di scultura che rappresenta la Madonna mentre sostiene Cristo morto. Nel Vangelo di Matteo, l’ora della sera è quella in cui avviene la deposizione dalla Croce, quando la Madre riceve tra le braccia il Figlio, ormai senza vita, per un ultimo accorato saluto. Si tratta di un modello iconografico che ha origine nel Trecento in Germania, caratterizzato da forte tensione drammatica e patetica. Si diffonde in Italia soprattutto in area alpina e subalpina nordorientale, verso la fine del Trecento, per raggiungere poi anche le regioni centrali.
Del Vesperbild in esame, conservato alla Galleria Franchetti di Venezia, non si conosce l’origine. Esso però mostra alcune affinità con un gruppo realizzato da Giovanni della Robbia, abilissimo ceramista e scultore fiorentino della fine del XV- inizio del XVI secolo, nipote del celebre Luca della Robbia. L’origine toscana sarebbe confermata anche dalla presenza negli incarnati della preparazione “a verdaccio” in terra verde, tecnica tipica di quella zona. D’altra parte nell’opera si nota una tensione di sentimenti e un realismo espressivo che lo avvicinano più all’ambito emiliano. Difficile quindi individuare l’autore del pezzo, di cui appare evidente comunque sia la connotazione tosco-emiliana sia una certa qualità formale e compositiva. Le affinità con Giovanni della Robbia permettono di collocare l’esecuzione intorno al secondo decennio del Cinquecento. Inoltre, la povertà dei materiali, la struttura semplificata del retro della scultura, la cottura imperfetta lasciano intuire che avesse una destinazione e una committenza provinciale, meno esigente e più povera di quella fiorentina.
Dopo una serie di esami ai raggi infrarossi e ultravioletti per quantificare l’estensione reale delle lacune si è deciso di consolidare completamente il colore, a seguito della pulitura dallo sporco e soprattutto dai vecchi interventi di restauro che avevano lasciato residui di colle pesanti. Il corpo di Cristo risultava spezzato all’altezza del collo, di una coscia e della vita; rotture che erano state saldate, nei precedenti interventi, con gesso e tenute insieme da perni di ferro, ormai arrugginiti, mentre la gamba era stata addirittura rimontata con una torsione innaturale. Si è reso così necessario smontare tutte le parti, togliere i perni e sostituirli con perni d’acciaio, mentre le giunture sono state stuccate, come le lacune più grandi di colore, con gesso e un collante acrilico inerte. Con tempere, velate poi ad acquerello, sono state integrate le lacune e le giunture, in modo da ricostituire una unità di lettura.
Redazione Restituzioni