Il gruppo di reperti è composto da venti recipienti vitrei a destinazione tombale. Vi sono due coppe di scuro vetro giallo-ambra e due coppe composte da canne multicolori, di cui una dalla rara forma troncoconica; una grande coppa di vetro verde-azzurro decorata da costolature; due coppette, una di vetro giallo e l’altra bruno-violaceo scuro; un’elegante tazza di colore blu intenso, munita di una sola ansa, con una decorazione sobria e stilizzata e due cartigli che riportano in greco il nome dell’esecutore (“Ennione fece”) e una frase beneaugurante; un bellissimo skyphos (tazza con piccole anse orizzontali) di vetro blu scuro e un kantharos (coppa per vino) con anse tortili. C’è un grande e lussuoso piatto di vetro incolore, con ampie prese traforate e decorato internamemente da fitte sfaccettature ovali. Compaiono inoltre tre bottiglie: una piccola e maculata, con colore di fondo giallo e macchie bianche e celesti, una grande bottiglia monoansata di vetro verde-azzurro e un terzo esemplare, elegante e leggerissimo, anch’esso con una sola ansa. Il gruppo comprende anche quattro balsamari (recipienti per unguenti), due a forma di carena, uno a corpo conico e il quarto sferoidale. Vi sono infine due olle (vasi per contenere le ceneri dei defunti), una molto alta, con corpo ovoidale, l’altra sferoidale.
I vasellami vitrei che qui si presentano provengono da ricchi corredi funerari rinvenuti, nel corso degli anni Novanta, nelle necropoli attorno ad Adria, a testimonianza della floridezza del municipium di Atria in età romana imperiale.
Questi pezzi si collocano cronologicamente nel I secolo d.C. Diverse sono le tecniche dell’arte vetraria con cui furono realizzati: alcuni vennero prodotti secondo metodi tradizionali, quali la colatura su stampo, inventata ancora in età ellenistica (IV-I sec. a.C.); della stessa epoca è la tecnica impiegata per fabbricare le due coppe policrome, ottenute accostando canne di pasta vitrea di colore diverso; altri recipienti, invece, furono prodotti attraverso procedimenti innovativi, come la soffiatura, tecnica d’esecuzione che risale a poco dopo la prima metà del I secolo a.C. e che divenne abituale nel corso del I secolo d.C.
Tra i venti reperti è degno di menzione lo skyphos che, per l’eleganza della forma e la qualità cromatica della sua materia, è uno dei pezzi più belli delle collezioni adriesi e quasi un unicum nel panorama dei vetri antichi. E grande eleganza formale contraddistingue anche la tazza recante la firma di Ennione: si tratta di un noto artigiano del I secolo d.C., probabilmente originario di Sidone (nell’attuale Libano), a cui si deve un particolare gruppo di raffinati vetri che imitavano pregiati vasellami metallici.
Gli interventi di restauro hanno riguardato la rimozione di depositi di terra e di polvere che opacizzavano e deturpavano le superfici dei vetri, l’asportazione di vecchi incollaggi e integrazioni ormai degradati (utilizzando alcol, acetone, acqua demineralizzata, diclorometano), la ricomposizione di esemplari frammentati e la realizzazione di accurate integrazioni delle lacune (impiegando resina epossidica).
Redazione Restituzioni