Il vaso, a forma di secchiello troncoconico, è in vetro trasparente verde pallido e ha un manico in rame dorato munito di gancio di sospensione. Il labbro superiore del vaso è decorato a trattini. Lungo il corpo si svolge un’elegante decorazione che, nella parte superiore, consiste in un fregio figurato con scena di caccia: cavalieri al galoppo, vestiti di tunica, mantello svolazzante e alti calzari, scagliano le loro lance verso grossi felini in fuga su cui balzano i cani; la scena è divisa in due parti da un alberello. Le figure si susseguono senza stacco, creando un movimentato ricamo, in netto contrasto con la regolarità della gabbia a rete nella parte inferiore del vaso: essa è composta da quattro file concentriche di maglie circolari, unite tra loro da elementi geometrici.
Il secchiello rientra in una delle produzioni più pregiate dell’arte vetraria di età romana e tardoantica, quella dei vasa diatreta. Il termine (dal greco diatretos, “traforato”) si riferisce a una serie di recipienti caratterizzati da una particolare e raffinata decorazione a traforo, ottenuta mediante un paziente lavoro di intaglio e molatura di una forma grezza a pareti spesse, soffiata entro stampo; la decorazione appare completamente staccata dal corpo del vaso, a cui rimane collegata mediante brevi ponticelli risparmiati dall’intaglio. A esercitare questa difficile tecnica erano artigiani altamente specializzati, i diatretarii, che lavoravano in botteghe vetrarie qualificate in produzioni di lusso. I diatreti erano manufatti di prestigio che per il loro alto costo erano rivolti a una clientela ristretta e facoltosa legata alle corti aristocratiche; erano destinati ai servizi da banchetto, oppure – e potrebbe essere il caso del nostro esemplare – erano forse utilizzati come lampade a sospensione. Vasi di tale fattura sono stati rinvenuti in diverse regioni dell’Impero e la loro realizzazione si sviluppò già dalla fine del I secolo a.C., per diffondersi soprattutto nel corso del III e IV secolo, ma anche oltre.
La peculiarità del nostro secchiello, attribuibile al periodo più tardo, consiste nella duplice decorazione, sia figurata che a gabbia, laddove gli esemplari tardoantichi presentavano o l’uno o l’altro tipo di ornamento. Quanto alla datazione, sono vari gli aspetti che inducono a inquadrarlo in una fase avanzata, spinta fino al VI secolo e all’inizio del VII (la sfumatura verdognola del vetro, mentre i pezzi antichi sono generalmente incolori; un maggiore spessore del vetro e un minore distacco della decorazione a traforo dalle pareti; l’accentuata stilizzazione e la durezza dell’intaglio delle figure). Più difficile è definire la provenienza del diatrete. Si ipotizza che l’opera,legata a una committenza d’ambito imperiale, sia stata realizzata da officine di Bisanzio: lo stile dell’intaglio, infatti, ricorda lavori bizantini del VI e dell’inizio del VII secolo in argento, che gli abili maestri vetrai si esercitavano a imitare. Il vaso sarebbe quindi giunto a Venezia dopo la presa di Costantinopoli nel 1204, entrando a fare parte del Tesoro della Basilica di San Marco.
Il manufatto presentava un diffuso offuscamento, dovuto a depositi di polvere e di sporco eterogeneo. Si è proceduto a una delicata pulitura, vista la fragilità della decorazione, con tamponi di cotone imbevuti di solventi organici, acqua deionizzata e tensioattivo.
Il manico è stato pulito dalle sostanze grasse e cerose e dai prodotti di corrosione del rame. All’interno di una sottile fessurazione, che si estendeva per circa 15 cm dall’orlo lungo il corpo, è stata fatta colare una resina incolore molto fluida, per evitare che l’incrinatura si prolungasse.
Redazione Restituzioni