La raccolta archeologica della famiglia Loiudice, acquisita al patrimonio dello Stato nel corso degli ultimi trent’anni del Novecento attraverso un attento programma di ricognizione, catalogazione e notifica delle collezioni private da parte dell’allora Soprintendenza Archeologica della Puglia, è attualmente custodita e in parte esposta nelle sale del Museo Nazionale Archeologico di Altamura, uno dei luoghi della cultura afferenti alla Direzione Regionale Musei Puglia.
Di pregevole interesse storico-archeologico, la collezione consta di circa trecentoquaranta reperti tra ceramiche d’importazione, produzioni sub-geometriche di area apula e lucana, vasi a figure rosse e vernici nere, bronzi e strumenti in selce insieme con vetri, alabastri e monete sia d’età imperiale romana sia di epoca borbonica.
Tale ricchezza e varietà di testimonianze si inserisce nella felice tradizione del collezionismo pugliese con gli illustri e ben noti precedenti della collezione Jatta di Ruvo di Puglia, della Meo-Evoli di Monopoli, della Ceci Macrini e della collezione Chini, quest’ultima di formazione in parte pugliese, in seguito confluita nelle raccolte del Museo Civico di Bassano del Grappa.
Tra i materiali che compongono la raccolta risultano certamente interessanti i reperti in ceramica a figure rosse, appartenenti alla tradizione apula e in misura minore a quella lucana, tutti databili tra gli ultimi decenni del V e la fine del IV secolo a.C. Nell’ambito della XIX edizione di Restituzioni, il Museo Nazionale Archeologico di Altamura ha scelto di sottoporre a restauro sei degli esemplari sopra citati, già interessati in passato da interventi ancora visibili e dove più evidente era la necessità di recupero conservativo dei manufatti.
L’operazione, pianificata con il coordinamento di Mariastella Margozzi prima e Luca Mercuri poi, alla guida della Direzione Regionale Musei Puglia, nonché con Elena Silvana Saponaro, direttore del Museo Nazionale Archeologico di Altamura, ha richiesto preliminarmente lo studio generale di conservazione dei manufatti, volto alla definizione delle caratteristiche tecnologiche, delle indicazioni sullo stato e sul tipo di alterazione delle superfici e delle paste ceramiche.
Alla fase di indagine iniziale è seguito l’impiego sul corpo ceramico di integrazioni pittoriche delle parti mancanti, seguendo il gusto e la sensibilità antiquariale, anche avvalendosi delle più attuali metodologie d’intervento conservativo. Il ricorso a riprese fotografiche speciali in UV ha infatti reso evidente l’entità dei vecchi restauri, quanto importanti fossero state le precedenti stuccature e ridipinture, realizzate con pigmenti o leganti differenti a seconda delle epoche. L’uso della spettrofotometria XRF ha fornito altresì preziose informazioni per il riconoscimento delle colle e dei colori adoperati sulle passate integrazioni pittoriche.