Il tesoretto consta di un piccolo gruzzolo di 129 monete d’argento, riposte all’interno di una pentola-secchiello frammentata, in ceramica, e avvolte in una stoffa in lino, della quale sono rimasti brani di tessuto.
Sui denari compaiono le leggende HENRICVS (nel dritto) e VERONA (nel rovescio), i cui caratteri sono resi con triangoli, semicerchi e linee; entrambe le facce presentano una croce centrale entro cerchio e un altro cerchio esterno. In generale, le monete presentano le caratteristiche delineate per la classe dei denari enriciani, ovvero conio rozzo, dimensione del conio più grande del tondello per cui le monete sembrano tosate, lettere delle iscrizioni via via più piccole e non sempre riconoscibili, scodellatura del disco.
Il ripostiglio è stato rinvenuto nel 2005, nel battistero della pieve di San Giovanni in Campagna, a Bovolone, a sud di Verona. Era sotterrato in una buca nell’aula dell’edificio, di fondazione altomedievale (VIII secolo).
Si tratta di denari battuti in epoca comunale dalla zecca di Verona, a nome di Enrico IV (1056-1106) e Enrico V (1106-1125), imperatori del Sacro Romano Impero. La maggior parte degli esemplari del nostro tesoretto appartengono alla fase più recente dell’emissione della moneta, corrispondente agli anni tra il 1164 e il 1183, quando era imperatore Federico I Barbarossa. Dopo la pace di Costanza del 1183, i comuni, vinta la guerra contro il Barbarossa e ottenuta una sostanziale autonomia, rivendicarono il diritto, precedentemente concesso dall’imperatore, di coniare moneta: Verona cominciò pertanto ad adottare un nuovo denaro, il crociato, introdotto prima del 1185. L’interramento del gruzzolo si può datare proprio al 1185 circa, quando nella città veronese circolavano sia i denari enriciani più recenti sia, probabilmente, anche i nuovi crociati; quest’ultimi, contenendo meno argento rispetto agli enriciani e mantenendone lo stesso valore nominale, venivano a costituire la moneta cattiva del mercato. Lo scopo del nascondimento sarebbe stato pertanto quello di tesaurizzare la moneta con il valore reale più alto, e spendere l’altra; qualcuno avrebbe pensato di occultare i propri enriciani nel battistero, considerandolo un luogo protetto e sicuro.
Al momento della scoperta le monete erano ricoperte da prodotti di mineralizzazione che in parte le saldavano insieme. Il restauro ha permesso di separare i singoli pezzi e ha restituito alle monete la lucentezza dell’argento. La pulitura meccanica, con il controllo del microscopio, è stata alternata a quella chimica realizzata con blanda soluzione di acido formico.
Un campione di 12 denari è stato esaminato prima al microscopio, poi per mezzo di spettrometria di fluorescenza dei raggi X e al microscopio elettronico a scansione. L’indagine ha permesso di individuare la lega impiegata nella coniazione, composta da rame, argento, tracce di piombo e in un caso tracce d’oro. I dati ricavati sono rappresentativi di un progressivo svilimento della lega, poiché la concentrazione d’argento diminuisce nelle monete ad emissione più recente.
Redazione Restituzioni