L’opera, conservata al Museo Poldi Pezzoli di Milano, costituisce un bell’esempio della produzione artistica medievale di area fiorentina.
Si tratta di un piccolo tabernacolo (altarolo), databile al 1340-45, diviso in tre parti: un pannello centrale e due sportelli laterali pensati per essere chiusi a libro. Nella tavola in centro si dispone, assisa in trono, la Madonna con il Bambino, che appare piuttosto cresciuto e decisamente vispo. Dietro l’impostazione briosa, tuttavia, sono velati alcuni simboli di forte rigore teologico: Gesù sta infatti tentando di afferrare il minuscolo cardellino posato sulla mano sinistra di Maria, a indicare l’inevitabile futuro di Passione. Nello stesso tempo, la presenza della melograna nell’altra mano di Gesù vuole alludere, in modo altrettanto certo, al suo destino di Resurrezione. Attorno al seggio, impreziosito dal drappo rosso a ricami dorati, un gruppo di santi contempla la scena che, fuori da ogni tempo storico, si dispiega maestosamente innanzi ai loro occhi. Ognuno è accompagnato dal proprio attributo iconografico: la veste di peli di cammello per Giovanni Battista; la palma del martirio e la dalmatica rossa per il santo che è, con ogni probabilità, Lorenzo. E ancora: la tenaglia per Apollonia; la lampada per Lucia; corone e vesti preziose per altre due sante identificabili con Caterina d’Alessandria o Margherita (la santa appena alla sinistra del trono) e Reparata, patrona di Firenze, col libro in mano e ripresa di profilo. Agli sportelli laterali sono affidate due notissime scene della tradizione cristiana: una Natività delicatamente descritta a sinistra, e una Crocefissione a destra, con il drammatico dettaglio del rigagnolo di sangue che dai piedi inchiodati di Cristo va a bagnare il teschio posto ai piedi della Croce.
I due pannelli sono sormontati da coronamenti triangolari (cuspidi) raffiguranti l’arcangelo Gabriele a sinistra e, la Vergine Annunciata a destra, rappresentata secondo la tipologia, molto amata in Toscana, della Madonna seduta per terra (Madonna dell’umiltà).
Il dipinto, di cui non è nota l’originaria ubicazione, apparteneva alla collezione milanese Visconti Venosta, dove era entrato dopo il giugno 1879. Fu poi donato nel 1973 al Museo Poldi Pezzoli, dove attualmente si trova.
L’attribuzione a Bernardo Daddi, oggi pienamente condivisa dagli studiosi, non è stata del tutto pacifica: si era infatti parlato di Taddeo Gaddi e, più genericamente, della bottega Daddi. Tuttavia, alcune fondamentali considerazioni stilistiche accreditano l’attribuzione a Bernardo, soprattutto in base al confronto con altri suoi piccoli tabernacoli, dove ricorre lo stesso schema compositivo, la tendenza alla monumentalità e il prezioso decorativismo delle stoffe.
L’opera ha necessitato di un restauro estremamente accurato, per porre rimedio ai pesanti interventi che, accanto ai danneggiamenti derivati da cause naturali (polveri e grassi atmosferici), ne avevano alterato la fisionomia.
L’intervento ha quindi previsto la rimozione delle ridipinture e delle vernici che opacizzavano la brillantezza del colore, soprattutto nella zona dei volti della Vergine e del Battista. Uno specifico trattamento è stato inoltre riservato al fondo oro che, restituito all’originario fulgore, accentua ora la solennità complessiva dell’immagine.
Redazione Restituzioni