La tavola centrale del trittico, più alta rispetto alle laterali, presenta la Madonna con il Bambino seduta frontalmente su un trono marmoreo ‘a gattoni’, ricoperto nello schienale da un drappo rosso damascato ornato con motivi a uccelli fantastici, eseguiti con la raffinata tecnica dello sgraffio. Negli scomparti laterali cuspidati a sesto acuto, i quattro santi in piedi, raffigurati di tre quarti rivolti verso la Madonna, recano il libro delle Scritture e i loro peculiari attributi: a sinistra Pietro con le chiavi accompagnato dall’apostolo Filippo – rappresentato in omaggio al nome del committente, Filippo di Bonifazio, menzionato nell’iscrizione – a destra il diacono Lorenzo abbigliato con la dalmatica che reca la graticola del martirio e a destra Giacomo Maggiore col bastone da pellegrino. Il trittico di Quinto, già erroneamente identificato con la pala d’altare citata da Vasari nella vita di Spinello nella cappella Machiavelli dedicata ai Santi Filippo e Giacomo in Santa Croce a Firenze, e attestato nell’inventario del 1848 (Quinto, archivio parrocchiale) presso la compagnia di San Potito detta anche della Misericordia, un piccolo oratorio posto accanto alla chiesa di Santa Maria, da dove nel 1912 fu poi spostato in diverse collocazioni all’interno del complesso. Il dipinto, ritirato dalla chiesa nel 1985 a seguito di un tentativo di furto, è stato poi riconsegnato alla chiesa nel 2014 dopo il complesso restauro. Attualmente non sono state rintracciate notizie sulla sua disposizione originaria.
Il trittico, già riferito ad Agnolo Gaddi da Guido Carocci e a Lorenzo di Niccolò da Georg Gombosi, è stato correttamente ricondotto all’attività di Spinello Aretino da Osvald Sirén (1908) e successivamente avvicinato alla Madonna con il Bambino del Museo Nazionale di Pisa. L’ipotesi, avanzata da Ugo Procacci (1929), Frederick Mason Perkins (1937) e Bernard Berenson (1932), che il trittico sia stato eseguito da Spinello in collaborazione con Lorenzo di Niccolo, è stata confutata dalla critica più recente che lo ritiene opera esclusiva del maestro aretino, di notevole rilevanza nel percorso dell’artista anche per la presenza della data (1393). Roberto Longhi, nell’evidenziare strette affinità con gli affreschi frammentari con le Storie di San Giovanni Battista gia nella chiesa del Carmine a Firenze, lo considero come uno dei dipinti di maggiore qualità esecutiva della prolifica attivita del pittore, iscritto sin dal 1386 all’Arte dei Medici e Speziali a Firenze. Nella smagliante gamma cromatica dai toni cangianti, nei fluidi panneggi e nella raffinata propensione ornamentale si può cogliere l’adesione di Spinello a quei sofisticati stilemi di gusto internazionale che permeano la pittura fiorentina alla fine del XIV secolo. Il restauro, eseguito da Caterina Canetti a partire dal 2011, ha provveduto a risanare la struttura lignea ripristinando il corretto equilibrio, a far riaderire la preparazione e la pellicola pittorica al supporto e a una pulitura calibrata che ha reso pienamente apprezzabili gli accesi valori cromatici, il raffinato utilizzo dell’oro (bulinato, graffito e granito) e l’elegante conduzione lineare.
Cristina Gnoni Mavarelli