Il Trittico di san Lorenzo – parte di un insieme coerente di quattro ancone belliniane oggi conservate alle Gallerie dell’Accademia di Venezia – era in origine destinato all’altare (consacrato nel 1471 ai santi Lorenzo, Stefano, Antonio da Padova) della cappellina all’estrema destra sotto al barco nella chiesa veneziana di Santa Maria della Carità. I canonici regolari lateranensi, insediati nell’adiacente monastero e responsabili della progettazione e realizzazione dell’intera struttura architettonica del barco e delle sottostanti cappelle, assegnarono questa cappella nel marzo del 1460 a “Misser Lorenzo Dolfin da Sancta Justina” in cambio di 100 ducati. Sebbene la commissione e il pagamento della pala dovettero spettare ai canonici e non al Dolfin – in quanto le voci registrate in dare/avere nella pagina del Memoriale et spese per lo barcho e organo relative al suo lascito non fanno alcun cenno a essa – è molto probabile che i santi da effigiare siano stati con lui concordati. Dal testamento si evince la particolare devozione portata da Lorenzo Dolfin, il cui santo eponimo è raffigurato al centro, a sant’Antonio da Padova, riconducibile verosimilmente alla forte affezione verso il padre Antonio, da cui aveva ereditato in giovane età una florida attività mercantile, basata sul commercio di pietre preziose, spezie e tessuti; san Giovanni Battista doveva invece evocare sia la moglie Zanetta Morosini sia il cognato Giovanni Morosini, con il quale per moltissimi anni Lorenzo era stato socio in affari.
Ancorabili agli anni 1462-1464, in base alla frammentaria documentazione superstite relativa all’edificazione del barco e agli accordi intercorsi tra i canonici e gli assegnatari delle cappelle, i trittici della Carità costituiscono una pietra miliare nella produzione belliniana, a cui sono stati restituiti dalla critica tardo-ottocentesca, dopo essere stati precedentemente riferiti ai Vivarini.
Ascrivibili al solo Giovanni Bellini, già titolare di una propria bottega, e non, come da più parti asserito, a Giovanni e Gentile operanti nell’impresa familiare del padre Jacopo, i trittici della Carità segnano nel percorso dell’artista un momento di importante sperimentazione: attenuate le asprezze disegnative del cognato Mantegna, Giovanni tende ad amplificare le forme, a regolarizzare i volumi, a rivestirli di panneggi meno arrovellati di pieghe e più ampiamente distesi, creando effetti luministici meno contrastati.
Il recente restauro del Trittico di san Lorenzo ha evidenziato l’estrema rapidità della tecnica esecutiva e la stretta compenetrazione tra il tracciato disegnativo sottostante e la soprastante stesura del colore, tale da rendere difficile una distinzione di mani tra la fase di progettazione e quella di esecuzione. A molti brani di qualità altissima di certo autografi di Giovanni, quali l’espressivo volto di sant’Antonio, la figura di san Lorenzo avvolto nella splendida dalmatica, di una purezza e nobiltà formale di intonazione pierfrancescana, e l’intensa figura del san Giovanni Battista, memore appunto di certe asprezze disegnative del cognato Mantegna, sono accostati brani più corsivi e schematici (la veste bianca del san Lorenzo o il saio del sant’Antonio) riferibili all’intervento di assistenti di bottega, operanti comunque sotto la diretta supervisione del maestro.