Il trittico è composto da più elementi: una tavola centrale raffigurante la Madonna in trono col Bambino; il pannello di sinistra con san Pietro, solennemente impreziosito dalle insegne del potere temporale e spirituale, e san Domenico, con il giglio che gli spetta in quanto fondatore di un ordine monastico. Sulla destra, invece, troviamo il pannello con san Venanzio, patrono di Camerino, in atto di presentare il modello della città, e san Pietro Martire, con il consueto coltellaccio piantato in testa e trafitto dalla spada del martirio. L’insieme è completato da una tavola sottostante (predella) divisa in tre parti, di cui manca lo scomparto centrale, raffigurante sei santi (rispettivamente: a sinistra, Antonio Abate, Girolamo, Andrea e a destra, Giacomo, Bernardino e, forse, Ugolino).
Due tavole triangolari (cuspidi), che furono però vendute separatamente, chiudevano in alto la scena con le immagini dell’arcangelo Gabriele e della Vergine annunciata.
Realizzata nel 1482 per la chiesa di San Domenico a Camerino, l’opera, imponente e preziosa nello stile, segna il culmine di un percorso iniziato alla metà degli anni Settanta, che vede armoniosamente uniti uno squillante decorativismo, un’ambiguità illusiva che confonde realtà e finzione e una solida impaginazione costruttiva.
La sfarzosità degli inserti di materiali preziosi è felicemente bilanciata dalla simmetria della suddivisione in pannelli e dalla monumentalità della resa anatomica. L’ostentata magnificenza dell’opera corrisponde a una volontà ideologica e politica: in quegli anni Camerino, retta dall’episcopato di Fabrizio da Varano, si trovava in piena competizione con la vicina Urbino, gareggiando così nell’esibizione del fasto, anche sul piano artistico. L’opera riesce così a riunire esigenze di carattere prettamente devozionale, con la presentazione delle glorie domenicane (Pietro Martire e Domenico) e delle tradizionali autorità gerarchiche (Pietro con le massicce chiavi dorate e i santi della predella) con esigenze legate alla sfera politica, come attesta la presenza del patrono cittadino Venanzio.
L’opera, in passato, è stata interessata da due importanti restauri, risalenti il primo al 1824 e il secondo agli anni Cinquanta del Novecento. Il primo si è rivelato cruciale per la storia del dipinto: ha compreso infatti una nuova doratura, il re-inserimento di diversi materiali (paste di vetro a imitazione di pietre pregiate, perle dette “di Roma”) e, infine, una re-incorniciatura di gusto neo-rinascimentale, mantenuta fino al dopoguerra.
Il restauro odierno ha interessato in primo luogo il supporto. In seguito a una fitta sequenza di indagini, riflettografiche e stratigrafiche, si è potuto appurare che i pannelli sono stati ridotti di qualche centimetro rispetto alle dimensioni originarie. Il supporto delle tavole è stato rafforzato con listelli, rimediando ai danni provocati dal restauro novecentesco; si è infine proceduto alla sostituzione delle antiche traverse, con un sistema di contenimento che consentisse i naturali movimenti del legno, e alla restituzione di continuità al supporto.
Per la superficie pittorica, che godeva di un buono stato di conservazione, è stata sufficiente una rimozione di depositi atmosferici, vernici e patinature, in modo da valorizzare l’originaria qualità cromatica del dipinto.
Redazione Restituzioni