Appena inclinato e in torsione verso sinistra il giovane satiro ci sorride serenamente, facendo dimenticare la sua natura demoniaca e lasciva, il suo aspetto al contempo umano e animale. La testa di questo satiro presenta un ovale pieno, un sorriso ampio che alza gli zigomi, occhi dal taglio allungato, e se non fosse per il naso camuso e le tipiche orecchie a punta non noteremmo quasi nessun tratto ferino. La caratterizzazione della chioma è accurata, con ciocche corpose di capelli che si dispongono sulla fronte in tre gruppi; una tenia che cinge il capo e ricade in due lembi sulle spalle, mentre la sormonta una ricca corona vegetale non del tutto riconoscibile (un grappolo forse di bacche dietro le orecchie, qualche foglia). Priva della calotta cranica, integrata con un marmo diverso già in epoca antica, la testa termina, nella parte inferiore, con uno sperone funzionale al suo inserimento in una statua. La resa del volto fa pensare ad archetipi di età ellenistica, momento in cui la figura del satiro abbandona gli aspetti più animaleschi e si umanizza nella figura e nei gesti. In epoca romana statue di questa concezione erano utilizzate spesso come decorazione di edifici termali, di giardini e ville private, con lo scopo di suggerire un’atmosfera serena e agiata, incline all’otium. La posizione della testa, inclinata e rivolta a sinistra, permette di ipotizzare che la figura intera avesse una posa vivace; probabilmente era affiancata da un altro soggetto o teneva nella mano un attributo (un pedum, un grappolo d’uva) a cui volgeva lo sguardo.
Da un punto di vista stilistico, la qualità del pezzo suggerisce di collocare la sua realizzazione verosimilmente nella seconda metà del I secolo d.C. È in linea con questa ipotesi una certa attenzione a esiti coloristici, evidente nella complessa corona vegetale realizzata con decisi effetti chiaroscurali, ma anche nella scelta di praticare incavi nelle orbite oculari, da integrare con bulbi colorati. La testa di Satiro è stata rinvenuta in una zona della Cittadella feltrina anticamente occupata dal municipium romano di Feltria, caratterizzato da una relativa floridezza economica: il reperto apparteneva probabilmente al giardino di una ricca domus urbana.
Lo studio effettuato in occasione del restauro ha permesso di confermare la datazione del reperto, assicurata anche dall’analisi mineralogico-petrografica. La statua si trovava in discrete condizioni, nonostante le diverse lacune e scheggiature. Le superfici erano ingrigite e opacizzate da uno spesso deposito di polveri; altre concrezioni di colore rosso-bruno, compatte e fortemente aderenti, deturpavano in particolare il profilo destro. Alterazioni cromatiche giallo-grigie si notavano nelle zone interessate dalle concrezioni citate. Il restauro è consistito nella rimozione degli addensamenti di polveri e dei depositi più superficiali con tamponature di acqua demineralizzata e tensioattivo, seguite da applicazioni, ancora a tampone, di una soluzione debolmente basica di bicarbonato d’ammonio, addizionato a tensioattivo. Le incrostazioni più tenaci sono state asportate a bisturi, cercando di assottigliarle gradualmente alternando l’azione meccanica con quella chimica emolliente. Impacchi estrattivi di sepiolite con acqua demineralizzata mantenuti fino ad asciugatura hanno consentito di attenuare le alterazioni cromatiche giallo-grigie connesse alle concrezioni stratificate. Una leggera stesura di cera naturale vegetale a fini protettivi ha concluso l’intervento.
Redazione Restituzioni