La Testa di Medusa in rame e bronzo è pervenuta al Museo Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa con l’enorme lascito del fratellastro dell’artista, Giovanni Battista Sartori Canova, degli anni 1849-1859. Non è mai stata oggetto di analisi storicoartistiche e non è inserita nel catalogo generale dell’artista (L’opera completa del Canova di Giuseppe Pavanello del 1976) né in altri studi.
La testa si compone di due calotte semisferiche di metallo, di spessore irregolare dell’ordine del millimetro, ed è modellata a sbalzo: la parte anteriore con i tratti del viso, la parte posteriore con i capelli sbalzati lisci e pettinati all’indietro. Le ali e le orecchie sono anch’esse ottenute a sbalzo. Nella parte alta della fronte e in corrispondenza della nuca, attraverso asole praticate nel metallo con uno scalpello, agendo dall’esterno, come documentano le bave presenti all’interno, sono stati infilati numerosi capelli, formati da sottili strisce di rame. Al centro della parte occipitale è presente un perno saldato alla lamina di rame, verso il quale convergono tutti i capelli provenienti dalla parte frontale. Al perno doveva essere fissato uno chignon, ora perduto, che nascondeva le saldature dei capelli fatte in questo punto e i capelli di rame deformati, che risultano adesso invece visibili.
L’opera costituisce la prima redazione della testa della Medusa tenuta in mano da Perseo nel gruppo scultoreo realizzato da Canova tra il 1797 e il 1801, ora nel Cortile del Belvedere nei Musei Vaticani. Il gruppo venne sbozzato forse nel 1797 e terminato nel maggio 1801. Già Elena Bassi, nel 1943, aveva riconosciuto il modello nella Medusa, copia romana da un esemplare fidiaco, conservata dalla metà del Settecento nel Museo Rondanini in via del Corso a Roma, esemplare ora nella Staatliche Antikensammlungen und Glyptothek di Monaco. Il gruppo del Perseo con la Medusa era stato richiesto a Canova l’8 marzo 1799 da Honoré Nicholas Marie Duveyriez, amministratore delle finanze dell’armata di Roma, acquisto non perfezionato. Per evitare l’uscita dallo Stato Pontificio, malgrado fosse in corso la transazione per il tramite di Giuseppe Bossi per il Foro Buonaparte di Milano, venne acquistato per Pio VII e collocato nel Cortile del Belvedere accanto all’Apollo. La testa in metallo è ricordata in una lettera del pittore milanese, presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera, del 3 ottobre 1801, come la testa del gruppo che avrebbe potuto essere sostituita da una in marmo su un modello in gesso che doveva ancora essere realizzato.
La scelta di eseguire in metallo una porzione della scultura in marmo rientra in una particolare ricerca di Canova, che trova la sua realizzazione in alcune opere eseguite nell’ultimo decennio del Settecento. La scelta del rame, invece che del bronzo, gli consente di lavorare i capelli della Medusa seguendo la falsariga delle descrizioni classiche, con risultati pittorici che gli stanno particolarmente a cuore in quel momento e che egli aveva riproposto in disegni anche di quegli anni.
La differenza esecutiva tra le parti a sbalzo e i nastri dei capelli evidenziati da Lorenzo Morigi nella relazione di restauro confermano due momenti esecutivi: quello affidato a un qualificato lavoratore del rame al quale spetta la base a sbalzo della calotta, eseguita sul modello in terracotta inv. 141 di Possagno di Canova, e una fase di finitura con la lavorazione dei capelli da parte dello stesso Canova. La conferma documentaria dell’autografia canoviana della testa in rame della Medusa, confermata dall’approfondimento della tecnica esecutiva e dal riconoscimento della sua alta qualità nel corso del restauro, sollecita una riconsiderazione sul valore del colore e della luce nell’opera dell’artista, in particolare nell’ultimo decennio del Settecento e nel primo decennio dell’Ottocento.
Il restauro ha provveduto a consolidare porzioni ammalorate, a saldare parti spezzate, a riordinare l’andamento originale delle strisce di rame, ricomponendo l’idea originale dell’artista. L’intervento di pulitura, eseguito con pennelli morbidi e acqua deionizzata, è stato indirizzato al recupero della superficie dello strato di ossido di rame (cuprite), rimuovendo il più possibile le polveri, ma rispettando lo strato ceroso, che costituisce la finitura originale, che è stata riproposta con un velo di cera d’api ad acidità ridotta.
Giuliana Ericani