Gli affreschi raffigurano due teste di monaci, l’uno privo di attributi iconografici, l’altro identificabile con San Pietro martire anche grazie alla presenza del nimbo, emerso durante il restauro. Pervengono alla Pinacoteca di Varallo, ove sono ricordati nel primo catalogo del 1892 come opera di Gaudenzio Ferrari, dalla Società d’Incoraggiamento allo Studio del Disegno.
Non è nota la provenienza dei dipinti: le fonti antiche non la precisano o avanzano supposizioni, mentre la letteratura critica, che non ha mai messo in discussione la paternità di Gaudenzio, ha reiterato una notizia che li voleva in antico nel convento di Santa Maria delle Grazie a Varallo insieme ad altri due frammenti raffiguranti due personaggi laici (invv. 679, 680), anch’essi conservati presso il museo. Questi ultimi, differenti sia dal punto di vista stilistico – sono ascrivibili a Gaudenzio entro il 1505 circa – che dei dati materiali, vengono in realtà donati alla Società d’Incoraggiamento nel 1836.
Non sembra possibile che un domenicano quale San Pietro martire potesse essere raffigurato sulle mura di un convento francescano, mentre una pista valida potrebbe essere costituita dall’antica chiesa a Invozio di Valduggia, dedicata a Santa Maria e a San Pietro martire. Più difficile avanzare ipotesi per l’altro frammento, che il restauro ha consentito di identificare in Frate Leone, compagno di san Francesco che riceve le stigmate.
La datazione dei dipinti ha oscillato in modo vistoso, dalla fase giovanile fino al raffronto con la tavola di Gaudenzio San Francesco riceve le stigmate (Pinacoteca di Varallo, inv. 669) del 1515-1517: ciò è dovuto alla scelta di considerare coevi dipinti riferibili a due momenti diversi. Frate Leone mostra i crediti del maestro verso Perugino e, nell’impostazione della figura costruita secondo uno scalare di piani, verso Bramantino, e si apparenta con gli affreschi della cappella di Santa Margherita in Santa Maria delle Grazie (1507) e il polittico di Sant’Anna a Vercelli (1508). San Pietro martire è esemplato sul frate Leone della tavola del Museo varallese, ma nell’esecuzione meno morbida, caratterizzata dal tratteggio insistito nel costruire la testa del personaggio, indirizza verso la mano di un allievo, che andrebbe identificato in Sperindio Cagnoli per la consonanza con il ciclo di Crevoladossola (1518-1526).
Carla Falcone
Il duplice intervento di restauro, eseguito presso il laboratorio di Fermo De Dominici a Varallo, ha rivelato importanti differenze tra i due affreschi che condividevano la medesima storia conservativa e la fortuna critica. Entrambi i frammenti risultano staccati a massello da affreschi di maggiori dimensioni. Furono ritagliati in forme tondeggianti dai bordi irregolari, camuffati da cornici in stucco dipinto e parzialmente dorato. A metà del XIX secolo ciascun lacerto fu alloggiato in un letto di intonaco, all’interno di una semplice cornice quadrangolare. Lo stato di conservazione appariva mediocre: consistenti depositi superficiali offuscavano la pellicola pittorica, che a sua volta riportava crepe, scalfitture e abrasioni dovute alle traumatiche operazioni di stacco e movimentazione. Anche le cornici in stucco, ripetutamente ridipinte, erano interessate da fratture e lacune.
Il dipinto raffigurante Frate Leone, eseguito su un intonaco liscio e fine, non presentava ridipinture e ritocchi. La semplice pulitura, attuata dapprima tramite spolveratura a pennello e successivamente con impacchi di ammonio carbonato, ha dunque permesso di confermare l’attribuzione dell’opera a Gaudenzio Ferrari, cui rimandano, insieme all’alta qualità dell’esecuzione, l’uso del disegno preparatorio tracciato a pennello in giallo ocra e la tecnica pittorica a larghe velature sovrapposte.
Maggiori difficoltà ha riservato la pulitura dell’affresco raffigurante San Pietro martire, a causa della presenza di un tenace strato di materiale protettivo a base di cere e caseina, infine rimosso con l’impiego dell’amilasi. La superficie dell’intonaco, di granulometria e spessore maggiori, conserva incisioni curvilinee, interpretabili come riferimenti spaziali per la composizione. La tecnica pittorica qui adottata modella i volumi tramite la sovrapposizione di tratteggi paralleli e incrociati su una base cromatica uniforme, con tocchi chiari disposti a definire le luci. La pulitura ha evidenziato le ampie zone di blu di lapislazzuli presenti sullo sfondo, il disegno bianco dell’aureola, esigue tracce di foglia d’oro applicate sul manico della roncola e una piccola ‘J’ dipinta sulla lama.
Per entrambi i dipinti, alla stuccatura delle lacune ha fatto seguito l’integrazione pittorica ad acquerello, eseguita a rigatino o sottotono per le mancanze maggiori e con risarcimenti puntuali a tono per le microlacune isolate. Riguardo alle cornici in stucco, si è optato per il recupero della prima stesura cromatica nera, integrata in leggero sottotono, mentre le cornici esterne in legno naturale sono state trattate con una semplice finitura in mallo di noce.
Giorgia Corso
Foto: copyright Palazzo dei Musei – Pinacoteca di Varallo
Foto del prima e durante restauro: Jacopo De Dominici
Foto del dopo restauro: AD Studio di Silvano Ferraris