Il complesso e fastoso reliquiario, d’argento, bronzo e rame dorato, è destinato a ospitare, per la venerazione pubblica, le ampolle contenenti il sangue miracoloso di san Gennaro.
La base è rettangolare, decorata da figure di angeli e virtù, stemmi, cartocci e festoni; vi sono figure di erme agli angoli e volute con teste di putti alati per i piedi.
Sulla base poggia un tempietto d’architettura gotica, sotto cui alloggia la statuetta del santo assisoin trono; l’edicola è ornata da stemmi e figure di vittorie e si erge su una base a tre gradini sostenuta da quattro leoncini.
Sopra il tempietto è posta una piccola cassa, con figure di santi, in prevalenza vescovi e protettori di Napoli, sotto finestre gotiche.
A coronamento vi è una raggiera, adorna di fiori e rami e di un importante smeraldo ovale al centro, incastonato in una cornice d’oro e rubini; alla base vi sono due angeli adoranti. La teca circolare per le ampolline si colloca sotto la raggiera, infilata nella cassa.
Il reliquiario è legato a un elemento costante del culto di san Gennaro a Napoli, patrono della città martirizzato nel 305, ovvero il miracolo della liquefazione del sangue.
Quest’opera rappresenta uno dei più complessi problemi filologico-interpretativi nello studio dell’oreficeria napoletana tra Medioevo ed età moderna, essendo la sua storia caratterizzata da complicate vicende di interpolazioni e rifacimenti.
Il tempietto poggiante sulla base risale alla fase più antica e originaria del reliquiario; opera di notevole qualità e finezza, presenta uno spiccato carattere gotico, inquadrabile nella seconda metà del XIV secolo e realizzata da orafi napoletani attivi presso la corte dei sovrani angioni Giovanna I e poi Carlo III, che potevano avere subìto l’influenza di orafi francesi giunti d’Oltralpe nella città partenopea.
Nel corso del Seicento il reliquiario fu sottoposto a diverse trasformazioni. Alla prima, precedente al 1643, andrebbero ricondotti alcuni elementi del tempietto e l’aggiunta della cassa superiore; quest’ultima è un pezzo medievale di reimpiego, databile al tardo Trecento, ma le figure di santi che la ornano sembrano riferibili al Quattrocento. La seconda trasformazione consistette nell’aggiunta della pedana inferiore, eseguita dall’orafo Giovan Battista di Falco nel 1643 su commissione del cardinale Ascanio Filomarino; anche per la base si suppone una vicenda non lineare: essa era forse già stata realizzata quando il cardinale la rilevò e la adattò allo scopo, facendovi applicare gli stemmi con le sue armi e la lastra superiore. L’ultimo intervento di integrazione subìto dal reliquiario si registra nel 1676, quando il noto argentiere Giovan Domenico Vinaccia lo dotò della raggiera superiore; a questo rinnovamento “barocco” appartengono anche gli stemmi e le figure di vittorie che ornano il tempietto e le due statuette di vescovi ai lati della cassa.
Preliminarmente il reliquiario è stato sottoposto a indagini di fluorescenza X, per chiarire la composizione della lega.
Le varie parti di cui si compone il tabernacolo sono state smontate, quindi pulite con complessanti (Tiourea, EDTA) e getti di vapore surriscaldato, disidratate e lucidate. Per la pulitura della delicata corona di rami è stata impiegata anche benzina rettificata e attorno ad alcuni pezzi è stata fatta vibrare della segatura di tutulo di mais; è stata risaldata e rinforzata nei suoi rami e infine trattata con vernice protettiva. Le pietre sono state pulite con tensioattivi e risciacquate con acqua deionizzata. Per il riassemblaggio, si sono utilizzati sistemi di fissaggio invisibili o di argento dorato, consolidati con resine epossidiche. Le anime in legno sono state trattate con prodotti antixilofagi.
Redazione Restituzioni