Questa lastra di marmo (stele), di forma leggermente trapezoidale, svolgeva una funzione funeraria; la defunta, cui essa è dedicata, è identificata dall’iscrizione riportata sulla cornice superiore, che recita “il popolo (onora) Lisandra figlia di Artemidoros moglie di Phaneias”.
Nel riquadro centrale è raffigurata a rilievo l’estinta, circondata dal vivace gruppo composto dalla balia e dai tre figli. Lisandra, di proporzioni maggiori rispetto agli altri personaggi, con la mano sinistra solleva il lembo del suo mantello vicino al volto, nell’atteggiamento cosiddetto della Pudicizia. La giovane balia regge in braccio un bimbo in tenera età e tiene per mano una bambina, la quale stringe nella destra un uccellino, nella sinistra un oggetto non più identificabile, mentre con il piede sfiora una tartaruga. Una seconda bambina, più piccola, è rappresentata con una cista cilindrica. Sulla parete di fondo, sopra un ripiano, compaiono oggetti che alludono all’ambiente domestico e alle attività muliebri (una cassetta, un oggetto conico interpretabile come un copricapo un parasole, una cista cilindrica).
Come dimostrano le sue caratteristiche tipologiche e compositive, la stele è produzione di età ellenistica, inquadrabile nella seconda metà del II secolo a.C. e appartenente all’area greco-orientale. Si ipotizza che l’opera provenga dalla zona costiera centrale dell’Asia Minore, forse dalla città di Smirne, cui rimanda un particolare dell’iscrizione, la formula “o demos” entro una corona, che rappresenta un riconoscimento pubblico della cittadinanza nei confronti della defunta.
Il rilievo apparteneva a Giovanni Grimani, patriarca di Aquileia e protettore delle arti che nel 1587 donò alla Repubblica di Venezia gran parte della sua raccolta privata di sculture antiche. Il patriarca seguiva così le orme dello zio, il cardinale Domenico Grimani, che nel 1523 aveva donato i suoi marmi alla Serenissima. Le donazioni Grimani andarono a costituire il primitivo e più importante nucleo dello Statuario di Venezia, aperto nel 1596: si trattava del primo museo pubblico della città e uno dei più antichi d’Europa, oggi confluito nel Museo Archeologico Nazionale.
Il restauro, consistito principalmente in un’azione di pulitura, ha notevolmente migliorato l’aspetto del monumento: la pulizia infatti ha permesso di recuperare l’originaria tonalità bianco-giallastra del marmo (il deposito di polvere aveva infatti conferito un diffuso grigiore che ne appiattiva la superficie) e ha dato risalto alla decorazione a rilievo, rendendo nitidi i contorni delle figure, i dettagli e le sfumature.
Mediante impacchi di tricoloetilene e acetone sono stati asportati i protettivi applicati in passato sulla stele. Le incrostazioni giallo-brune sono state eliminate con impacchi di soluzione debolmente basica e con bisturi. Le stuccature moderne, che chiudevano le fratture, sono state asportate con bisturi e scalpelli e sono state rifatte con polvere di marmo e resina acrilica. A protezione delle superfici sono state applicate resina acrilica e cera microcristallina.
Redazione Restituzioni