Vescovi ed arcivescovi, nel corso del proprio mandato, effettuano visite pastorali all’interno della Diocesi di competenza, per assistere e incoraggiare nella fede e nella preghiera il popolo che hanno avuto il compito di guidare. Nei secoli scorsi tali visite rappresentavano anche l’occasione per una sorta di censimento dei beni appartenenti alla Diocesi: attraverso i dettagliati elenchi stilati in quelle circostanze è possibile infatti risalire al patrimonio d’arte posseduto dalle chiese locali. Questa splendida stauroteca, o reliquiario, è ad esempio ininterrottamente ricordata dal 1542 al 1643 nelle visite di vari arcivescovi alla Cattedrale di Napoli, nel Tesoro Vecchio. Tra Sei e Settecento si consolidò la tradizione secondo cui il reliquiario, o almeno le particole della Vera Croce che esso contiene, fu donato alla primitiva cattedrale da Leonzio, vescovo di Napoli dal 646 al 653. Solo alla metà del Novecento l’opera fu riconosciuta, sulla base di elementi sia stilistici che strutturali, come un caposaldo del laboratorio orafo normanno di Palermo, e datata attorno alla metà del XII secolo.
La stauroteca attuale presenta una sola delle facce della croce originaria, quella posteriore. La perdita del verso principale dovette avvenire già in epoca antica. Ben presto infatti la parte rimanente – in oro – della stauroteca venne integrata da una nuova faccia in lamina d’argento con l’Agnus Dei al centro e i simboli degli evangelisti ai lati (ma in ordine diverso rispetto alla distribuzione degli smalti sull’altro verso). Si può ritenere che questa lastra sia stata realizzata in Sicilia nel corso del XIII secolo (sulla scia della croce di Perrone Malamorte, nel Tesoro del Duomo di Messina), nello stesso momento e luogo in cui furono sostituite alcune delle 58 pietre dure o preziose che abbelliscono la faccia principale, e fu realizzata la bandella laterale in argento sbalzato che unisce le due facce della croce.
Nel corso del ’500 si decise di dotare la croce, che si trovava a Napoli in Cattedrale, di un nuovo piede, definendone una volta per tutte l’aspetto come quello di una croce stazionale. Questo piede, in argento dorato, in parte sbalzato e in parte fuso, è composto da una base ornata al centro della faccia anteriore da uno stemma cardinalizio che le fonti attribuiscono all’arcivescovo Oliviero Carafa. Al di sotto dello stemma Carafa è presente un bollo ‘NAPL’ coronato che gli studiosi hanno riconosciuto come quello introdotto in città a partire dal 1465 e in vigore sino al 1503-05. L’epoca di presumibile realizzazione del piede è dunque da collocare negli anni dal 1465 in avanti, verosimilmente dentro il 1484. Il piedestallo è inoltre caratterizzato da un fusto esagonale ornato da decori foliati, sul quale sono saldati due bracci essi pure avviluppati da rami tagliati e foglie ottenute a sbalzo. Due statuette di dolenti, la Madonna e l’evangelista Giovanni (probabilmente frutto di un riuso, visto che sono ritenute oggetti di primo Trecento), sono saldate sui bracci del piedestallo conferendo alla composizione equilibrio e simmetria, nonché una nota di raffinato patetismo. Una scritta incisa sul bordo della base («SANFELICE ARCHIEPISCOPUS RESTAURAVIT 1883») ricorda la data del precedente restauro.
Il restauro è stato preceduto da indagini, eseguite con un apparecchio portatile a fluorescenza X, che hanno consentito di individuare la componente di rame in lega coll’argento nel piede, e la presenza media di rame e di argento nell’oro della lamina principale. La Stauroteca è stata poi accuratamente smontata nelle sue parti. Dopo aver protetto gli smalti della faccia anteriore con alcuni strati di carta bagnata, si è provveduto alla pulitura delle lamine con delicati getti di vapore che hanno rimosso i depositi di collanti e cere insinuatisi nella filigrana. Gli smalti sono stati puliti al microscopio ottico e, per maggiore cautela, con piccoli specilli di acciaio e legno duro ed un successivo lavaggio con benzina rettificata, applicata con pennelli sottilissimi e subito assorbita da batuffoli di cellulosa.
Le laminette originarie individuate durante la pulitura sono state rimesse in forma e gli smalti a loro volta consolidati con applicazioni di paraloid B72 molto diluito in solvente alla nitrocellulosa. Le integrazioni sono state poi rifatte con cera sintetica a pasta bianca miscelata con cera carnauba e pigmenti stabili alla luce. La base, che non si presentava in buone condizioni per la presenza di solfuri d’argento, di depositi grassi e di un deposito verde acceso sulle figurine e i bracci laterali, è stata liberata dai prodotti di corrosione per mezzo di piccole punte di legno e di acciaio. È stata poi immersa in un bagno di Tiourea e abbondantemente risciacquata con getti di vapore. L’anima di legno è stata trattata con permetrina in petrolio per allontanare definitivamente gli insetti xilofagi. La croce è stata quindi rimontata e protetta con Incralac a spruzzo applicato sulle superfici fredde per consentire una lenta evaporazione del solvente e la formazione di una pellicola sottile ed omogenea sul metallo.
Nel corso del restauro sono stati individuati i componenti principali delle miscele colorate e chiariti molti aspetti relativi alla tecnica di esecuzione.
Redazione Restituzioni