La statua, in marmo, rappresenta una figura femminile stante e riccamente panneggiata. Indossa una veste (peplos) con risvolto superiore (apoptygma), fermata sulla spalla da un fermaglio circolare; la cintura in vita forma una gonfia e ricurva arricciatura (kolpos). Il mantello (himation) è gettato sulla spalla destra con un lembo che scende lungo il fianco, percorre il dorso trasversalmente e si attorciglia sul gomito sinistro.
I piedi e la base sono riferibili a un restauro cinquecentesco.
Nel 1587 Giovanni Grimani, patriarca di Aquileia e mecenate, donò alla Serenissima Repubblica di Venezia la sua raccolta privata di sculture antiche, tra le quali compariva la statuetta in esame. La collezione Grimani andò a costituire il più antico e importante nucleo dello Statuario di Venezia, aperto nel 1596: si trattava del primo museo pubblico della città e uno dei più antichi d’Europa, oggi confluito nel Museo Archeologico Nazionale.
Il pezzo fa parte del gruppo delle cosiddette “statuette Grimani”, dieci pregevoli originali greci di età classica, databili tra la fine del V e la prima metà del IV secolo a.C; date le loro dimensioni ridotte, dovevano avere una destinazione votiva, e dovevano provenire, con ogni probabilità, da un medesimo santuario, forse legato ai riti misterici eleusini.
La nostra scultura è attribuita alla fine del V secolo a.C. e la divinità raffigurata viene generalmente identificata con Demetra, dea della terra e dell’agricoltura. Essa rivela affinità con modelli figurativi attici (come le Cariatidi dell’Eretteo nell’Acropoli di Atene, la Procne di Alcamene allievo di Fidia, o la Demetra del Museo Capitolino, copia romana di un originale attico); si tende tuttavia a escludere l’Attica come area di provenienza della statuetta, che viene piuttosto individuata nelle isole dell’Egeo o nelle coste dell’Asia Minore. Tale ipotesi sarebbe confermata dall’evidente influsso ionico nello stile (riscontrabile, soprattutto, nella resa del panneggio), nonché dalla qualità del marmo, proveniente dall’isola di Paros.
Il marmo, coperto per lo più da una patina bruno-grigiastra, presentava consistenti accumuli di polvere che sono stati rimossi con solvente a tamponcino di cotone. La superficie della base, che presenta stuccature in colofonia e in gesso, è stata pulita con un impacco di bicarbonato di ammonio e polpa di carta, è stata risciacquata e rifinita a bisturi, infine protetta con cera microcristallina; il viraggio cromatico delle stuccature è stato risolto con ritocchi di vernice a velatura.
La pulitura e l’osservazione ravvicinata con luce radente hanno evidenziato sulle superfici sia tracce della lavorazione antica (solchi di un raschietto), sia tracce della rilavorazione rinascimentale, volta a lisciare le superfici (incisioni ottenute con scalpello, graffi di raspe e abrasivi, scomparsa della patina).
Redazione Restituzioni