La statua, in marmo, rappresenta una figura femminile stante e panneggiata. Indossa una veste (peplos) senza maniche, conrisvolto superiore (apoptygma); la cintura in vita forma un’arricciatura (kolpos) fortemente ricurva. Il mantello (himation) è appoggiato anteriormente sulle spalle, formando una sorta di borchie rotondeggianti. Il volto è ovale e ben proporzionato, il capo è ornato da un diadema. I capelli, a ciocche ondulate e spartiti al centro da una scriminatura, muovono all’indietro per raccogliersi sulla nuca.
Nel 1596 Federico Contarini, Procuratore di San Marco, donò alla Repubblica di Venezia un gruppo di sculture antiche, tra le quali compariva la statuetta in esame. La collezione Contarini si aggiunse alle donazioni del cardinale Domenico Grimani (1523) e del patriarca di Aquileia Giovanni Grimani (1587), che andarono a costituire il nucleo più antico e importante dello Statuario di Venezia: si trattava del primo museo pubblico della città, aperto nel 1596, e uno dei più antichi d’Europa, oggi confluito nel Museo Archeologico Nazionale.
Il pezzo fa parte del gruppo delle cosiddette “statuette Grimani”, dieci pregevoli originali greci di età classica, databili tra la fine del V e la prima metà del IV secolo a.C; date le loro dimensioni ridotte, dovevano avere una destinazione votiva, e dovevano provenire, con ogni probabilità, da un medesimo santuario, forse legato ai riti misterici eleusini.
Sulla base di alcune caratteristiche stilistiche e del confronto con altre opere, l’inquadramento cronologico della nostra statuetta oscilla tra l’ultimo decennio del V secolo (precisamente attorno al 420 a.C.) e la fase di transizione dal V al IV secolo, se non direttamente al IV secolo. Per quanto riguarda la testa, l’opinione prevalente è quella di considerarla antica, ma non pertinente al corpo.
Il modello iconografico cui la statua rimanda può essere identificato nella Demetra dei Musei Capitolini di Roma, o nella Demetra del Giardino di Boboli a Firenze, entrambe copie romane di originali greci, o ancora nelle Cariatidi dell’Eretteo nell’Acropoli di Atene. Anche il problema della provenienza originaria è molto dibattuto, presumibilmente individuabile nelle isole greche o dell’Asia Minore, come suggerirebbe la qualità del marmo, proveniente dall’isola di Paros.
Il marmo, coperto da una patina color bruno-ocra, presentava consistenti accumuli di polvere, un generale ingrigimento di tutte le superfici e, sulla base, stuccature in colofonia e in gesso. Le polveri sono state rimosse con solvente a tamponcino di cotone e il viraggio cromatico delle stuccature è stato risolto con ritocchi di vernice a velatura. Il naso, scheggiato, è stato integrato a stucco ceroso e ritoccato a velatura.
La pulitura e l’osservazione ravvicinata con luce radente hanno evidenziato sulle superfici sia tracce della lavorazione antica, non completamente rifinita visto l’aspetto scabro e ruvido del modellato (segni di scalpello a punta, di raschietti e della gradina), sia tracce della rilavorazione rinascimentale, volta a lisciare le superfici (graffi di raspe e solchi di polveri abrasive, scomparsa della patina bruno-ocra).
Redazione Restituzioni