Sul finire del XVI secolo Federico Contarini, Procuratore de supra, ricevette l’incarico di trasformare l’Antisala della Libreria Marciana di Venezia in Statuario pubblico. Ad integrazione del patrimonio statuario donato pochi anni prima dal Patriarca Giovanni Grimani, nucleo principale del futuro museo, Contarini decise di donare la figura di Atena in esame. Il dono si era reso necessario per tacitare gli eredi Grimani, che avevano accettato con difficoltà la donazione dello zio. L’opera, che riporta sulla spalla sinistra il bollo in piombo, fu poi trasferita nel cortile di Palazzo Ducale nel 1625, e vi rimase fino al 1811. A tale soggiorno all’aperto la maggior parte della critica attribuisce l’aspetto nerastro che la statua presentava fino a pochi decenni fa, ma alcuni studiosi ritengono invece che si tratti del residuo della ridipintura scura, atta a far parere la statua di bronzo, come altre statue alle quali era vicina. I residui della colorazione sono ancora visibili in alcuni punti, in particolare tra le pieghe della veste.
La statua rappresenta appunto la dea Atena, riconoscibile dall’egida, che riporta al centro il gorgoneion (pendente raffigurante la testa di una Gorgone). Il panneggio delle vesti, cui si aggiunge un corto mantello sulle spalle, cade lungo tutta la figura con il classico apotygma (simile ad un odierno scialle o mantello), le cui pieghe ricadenti verso il basso lasciano intravedere la gamba sinistra in posizione di riposo. Il panneggio presenta, all’altezza del fianco sinistro, un solco attribuito all’incastro dello scudo, ora mancante. La statuetta viene tradizionalmente considerata opera attica della fine del IV secolo a.C., ispirata alla Parthenos fidiaca, dalla quale pure differisce per alcuni particolari. La testa di fattura romana del II secolo a.C., è priva del naso, della bocca e della punta del mento e non è pertinente al corpo, come dimostrano le proporzioni. È stata probabilmente assemblata al corpo nel Cinquecento. Si tratta di una tipica testa elmata, con elmo corinzio rialzato. L’elmo manca di lophos o pennacchio, che compare in alcuni disegni antichi della testa, ma non nelle riprese fotografiche meno recenti, dove ancora sono presenti invece naso e mento.
Il restauro viene attuato in occasione della ricostruzione dello Statuario Pubblico della Serenissima (avvenuta ad opera di Giovanna Luisa Ravagnan e Irene Favaretto a partire dal 1997), operata sulla scorta degli inventari settecenteschi dipinti dallo Zanetti. Molte delle statue sono esposte come si trovano oggi, per la maggioranza deprivate di parti organiche e attributi che avevano ancora nel primo Novecento. La ricostruzione ha mirato quindi ad integrare dove possibile gli effetti dei cosiddetti derestauri; in particolare la scultura in oggetto viene completata dalla testa che aveva anche in tutte le descrizioni conosciute, pur rimanendo priva di altre parti sostanziali. La statua è abbastanza fragile da un punto di vista conservativo, a causa dei diversi interventi di restauro che si sono succeduti e della lunga permanenza all’aperto. In particolare salta agli occhi una vistosa macchia sul braccio sinistro dovuta a interventi precedenti non corretti, che in quest’ultimo restauro si è cercato di sfumare il più possibile per migliorare la leggibilità dell’opera. L’inserzione della testa sul corpo è avvenuta solo in modo meccanico, con un agevole incastro che lascia la possibilità di tornare sui propri passi nel caso si volesse retrocedere rispetto a questo “restauro del derestauro”.
Redazione Restituzioni