Per quanto largamente lacunosa la statua risulta nel complesso ben leggibile. Icaro è rappresentato in procinto di alzarsi in volo, con la gamba sinistra avanzata, la destra ripiegata all’indietro e il braccio destro proteso in fuori a spingere verso l’alto. Ciò che resta delle grandi ali asseconda il movimento, fissato nell’istante di maggior tensione. La resa plastica rivela il colto naturalismo che impronta l’intera scultura, realizzata in calcare fiorito di Aurisina di qualità fine e di colore grigio chiaro. La statua non è lavorata posteriormente, ma solo sbozzata, sia all’interno delle ali che nei lembi del mantello (clamide). Un profondo incasso rettangolare proprio in corrispondenza dei lembi della clamide testimonia la presenza di una struttura portante: l’ipotesi è che la statua si librasse quasi sospesa nell’aria.
La scultura fu rinvenuta ad Altino nel 1967, all’interno della necropoli nord-est della via Annia. Anche grazie ad un puntuale confronto formale e stilistico con un esemplare analogo proveniente da Aquileia, si ipotizza che la statua fosse posta nel contesto di un monumento funerario con funzione di acroterio centrale, ossia come elemento decorativo posto al culmine del frontone del tempio.
A partire dal II sec. a.C. i due maggiori porti dell’alto Adriatico, Aquileia e Altino, esercitarono un ruolo fondamentale nella ricezione e diffusione di temi e modelli tipici della cultura ellenistica dell’Egeo orientale, dalla cui statuaria deriva anche il modello di riferimento per la scultura di Icaro in esame. Agli esemplari di Altino e Aquileia fanno riscontro del resto numerosi monumenti funerari del Norico, della Pannonia e della Dalmazia: lungo il confine nord-orientale dell’Impero romano l’interesse per il mito di Icaro risulta dunque ben attestato. Come noto, nel tentativo di fuggire in volo assieme al padre Dedalo dal labirinto in cui era stato rinchiuso da Minosse, il giovane Icaro si spinse imprudentemente troppo in alto, facendo così sciogliere la cera con cui le ali, costruite dal padre, erano fissate alle spalle. Dopo aver visto il figlio precipitare in mare, secondo il racconto dello Pseudo-Aristotele, Dedalo raggiunse le isole Elettridi, nell’estremo golfo dell’Adriatico, dove costruì due statue, una di stagno e una di bronzo, ad impersonare sé stesso e il figlio Icaro. Secondo l’opinione più accreditata, il mito va letto in chiave neoplatonica e può essere ricollegato anche a passi del Fedro per cui l’anima “perfetta e fornita di ali abita nel cosmo” ed ha in sé la capacità di “sollevarsi […] là dove abita la stirpe degli dei”. Il riferimento dotto, che interpreta la figura di Icaro come metafora del passaggio alla vita ultraterrena, consente di ipotizzare una committenza colta, dedita agli studi filosofici.
La statua si presentava fortemente erosa nelle superfici, alterate anche sul piano cromatico; incrostazioni bituminose deturpavano le ali. I depositi terrosi stratificati nelle porosità del calcare sono stati asportati attraverso bagni con acqua demineralizzata, e grazie all’azione meccanica di spazzolini e pennelli a setole morbide, intercalati da risciacqui e spazzolini meccanici. Impacchi di polpa di carta e di bicarbonato d’ammonio in soluzione acquosa sono stati applicati dove necessario. Le incrostazioni di cera, di bitume e di vecchio collante sono state eliminate con opportuni solventi. Sono state eseguite delle microstuccature e la ricomposizione, con adesivo epossidico, di tre piccole scaglie parzialmente distaccate all’estremità dell’ala sinistra.
Redazione Restituzioni