La statua, in calcare d’Aurisina, raffigura un Gigante inginocchiato, puntellato sul ginocchio destro, con il busto pervaso da una possente tensione. Il braccio destro, per la porzione conservata, scende aderente al busto. Sopra la spalla destra restano le terminazioni a punta di due ciocche di capelli. Una peluria fitta e riccia segna la linea alba, dalla zona dei pettorali fino al pube. Una corona di foglie scende dal collo e si irradia sul petto, altre foglie ricoprono la coscia sinistra, che si trasforma, poco sopra il ginocchio, in una spira serpentiforme ricoperta da scaglie, volta all’indietro. Dallo zoccolo di base nasce un corposo cespo angolare d’acanto.
Il reperto fu rinvenuto nel 1952 nell’ambito della necropoli dell’antica città romana di Altino; è databile attorno alla metà del I secolo a.C. e, per l’eccezionale livello qualitativo, rappresenta una delle sculture più conosciute tra quelle prodotte dalle officine altinati.
Il modello iconografico deriva direttamente dalle figure di Giganti che compaiono nell’altare di Pergamo dedicato a Zeus, realizzato nel II secolo a.C. e oggi ricomposto nei Musei di Berlino. Nel fregio che decora l’altare è raffigurata la Gigantomachia, l’immane lotta cosmica degli Dei contro i Giganti; quest’ultimi sono rappresentati come creature mostruose e animalesche, con i grovigli delle loro terminazioni a forma di serpente (anguipedi), pervasi da una forza sovrumana esplicitata attraverso la struttura poderosa dei loro corpi nudi, fortemente plastici. Vari aspetti dell’esemplare altinate riconducono ai Giganti pergameni, come l’impostazione della figura secondo una veduta frontale e le squame appuntite sulla coscia. Altri particolari, al contrario, sono frutto dell’inventiva dell’artista locale che realizzò la statua, quali la peluria che attraversa verticalmente il torace e il collare di foglie, volti ad accentuare l’aspetto ferino della figura.
Il nostro Gigante doveva originariamente essere collocato in una posizione angolare e parzialmente in aggetto e doveva appoggiarsi a una superficie obliqua, probabilmente lo spiovente di un tetto; la composizione del resto appare studiata per privilegiare un angolo di osservazione basso.
L’intervento di restauro è consistito nella pulitura delle superfici dai depositi estranei, utilizzando pennelli, spazzolini, bisturi e impacchi di polpa di carta con diverse soluzioni. Le incrostazioni cementizie e i neri bituminosi, annidatisi nei solchi profondi della scultura, sono stati asportati con il ricorso dello strumento a ultrasuoni.
Redazione Restituzioni