La collezione egiziana del Museo Civico Archeologico di Bologna vanta tra i propri benefattori papa Benedetto XIV (1675-1758) che, tra il 1740 e il 1758, dona alla sua città natale alcune antichità egiziane. Sin dall’arrivo a Bologna questi materiali suscitano grande interesse, perché rari e iscritti con quei misteriosi segni geroglifici che Jean-François Champollion avrebbe decifrato solo nel 1822. Il sarcofago di Mes-Isis o Figlio di Isis e il cartonnage di mummia appartengono a questo prestigioso nucleo, che arricchisce il patrimonio antiquario bolognese, rendendolo una meta di viaggio accattivante per eruditi sensibili al fascino della civiltà faraonica. Il cartonnage, allora ben conservato e adeso al bendaggio di una mummia di cui si perde traccia durante l’Ottocento, è attribuito a Mes-Isis, forse in ragione di una comune provenienza collezionistica, ma soprattutto per l’impossibilità di stabilirne una datazione differenziata da quella del sarcofago su base stilistica, tipologica e linguistica.
Le vicende antiquarie e uno stato conservativo sempre più precario hanno accomunato i due oggetti anche nel restauro eseguito nell’ambito del progetto Restituzioni. Il sarcofago di Mes-Isis, a sembianze di mummia avvolta in un sudario di lino, si caratterizza per una vera e propria stratificazione di interventi conservativi: un primo restauro sostanziale, caratterizzato da numerose integrazioni lignee e pittoriche, precede il suo arrivo a Bologna, come attestano i documenti d’archivio e le indagini al 14C; un secondo intervento di reintegro pittorico con pigmenti di sintesi, e presumibilmente anche di limitato consolidamento, è riconducibile alla seconda metà dell’Ottocento, forse all’inaugurazione della sezione egiziana del Museo Civico di Bologna (1881); un terzo restauro data alla seconda metà del Novecento, come attestano alcuni pigmenti bianchi, resine acriliche e sostanze viniliche. Questi interventi hanno ‘falsato’ la percezione estetica della figura antropomorfa e modificato la decorazione policroma su fondo bianco del sarcofago, rendendo incomprensibile parte dell’iscrizione in geroglifici dipinta sul coperchio e sul pilastrino della cassa. Il restauro attuale, che non ha voluto cancellare gli interventi storicizzati, si è limitato a pulire e a fissare gli strati pittorici, uniformandone la discontinuità cromatica tramite un abbassamento dei toni.
Il cartonnage, ormai privo di maschera, pettorale e piedi, nonché della mummia, sembra aver subito un solo restauro precedente quello per Restituzioni, che risale a tempi recenti. I documenti d’archivio non rivelano quando sia avvenuto il suo distacco dal bendaggio della mummia e se sia stata questa operazione a danneggiarne alcune parti.
Di certo, per separare l’elemento ‘a scudetto’ che reca iscritta la classica formula di offerta a un defunto non meglio identificabile, è stato necessario recidere il sudario e le bende sottostanti, seguendo il profilo del cartonnage, al quale sono rimasti adesi alcuni frammenti di tessuto. Il restauro attuale si è limitato a pulire la superficie dello strato pittorico – anche dalle tracce del precedente intervento conservativo –, a ricongiungere alcuni elementi, a consolidarli e a riposizionare le bende.
Daniela Picchi
Foto: copyright Museo Civico Archeologico di Bologna
Foto prima e dopo restauro: Marco Ravenna