Diffuso sfarzo, varietà nella resa mimetica dei materiali, raffinata cura del dettaglio: questi i tratti salienti delle due tavole raffiguranti un non meglio identificato Santo vescovo e san Nicola di Bari, collocate (dal 1937) presso il Seminario Patriarcale di Venezia e attribuite ad Antonio Vivarini.
I due personaggi, stagliati su un luminoso sfondo dorato, sono ritratti a mezzo busto: il santo anonimo, identificato in passato come Crispino o Ambrogio, si presenta di profilo, nei sontuosi panni vescovili, con un libro preziosamente decorato sulla mano destra e il pastorale (quasi un prodotto di fine oreficeria veneziana) nell’altra; Nicola, invece, ripreso di tre quarti, si offre allo sguardo dello spettatore con il consueto attributo delle tre palle d’oro, con tanto di mitra e pastorale, in analogia con l’altro santo.
Ignota è la destinazione originaria delle due tavole: documentate nell’Ottocento a San Cipriano di Murano, sono poi passate poi al Seminario Patriarcale di Venezia dove furono viste da Giannantonio Moschini che le assegnò a Jacobello del Fiore. Più tardi le due opere risultano trasferite a Santa Maria della Salute e la loro attribuzione spostata all’ambito dei Vivarini: dato che sarà in seguito precisato con la collocazione dei due dipinti alla fase centrale della produzione di Antonio Vivarini (1450 ca), caratterizzata da uno stile più robusto in termini di plasticità e solidità materica.
E’ stato ipotizzato che le tavole dovessero originariamente presentarsi con un formato rettangolare al posto dell’odierno ovale e poste all’interno di un polittico, di cui si è tentata un’ideale ricostruzione. Di convincente rimane, tuttavia, la sola ipotesi che vede il San Ludovico da Tolosa del Louvre come parte dello stesso complesso, suggerendo così l’idea di un’originaria ubicazione in un contesto religioso francescano.
L’intervento conservativo ha confermato che i dipinti sono stati ritagliati da una struttura più ampia e il retro delle tavole sensibilmente assottigliato; ha inoltre permesso di giungere a una più chiara lettura dei fondi oro, che risultano completamente ridorati tra fine Settecento e inizio Ottocento e parzialmente integrati con foglia d’oro in un successivo restauro novecentesco.
Si è così proceduto con le operazioni di pulitura, che hanno portato alla rimozione dei depositi di polvere, vernice e, soprattutto, di una particolare sostanza stesa in funzione protettiva sulle sole figure dei santi. Si è infine rivelata necessaria la reintegrazione pittorica, condotta con colori ad acquerello e a vernice, che ha consentito una rinnovata e più corretta lettura del testo figurativo.
Redazione Restituzioni