Contro lo sfondo lucente dell’oro emergono, distribuite su sei tavolette di legno, le figure dei santi Stefano, un martire diacono, Giovanni Battista, Antonio abate, Apollonia e un martire cavaliere che è forse san Maurizio.
Ogni santo è accompagnato dal proprio attributo iconografico: la palma del martirio e un sasso sul capo per Stefano, che indossa la veste rossa, usata anche dal sacerdote nella liturgia cristiana nella ricorrenza del 26 dicembre. E ancora: l’agnello del sacrificio per un Giovanni Battista esile, con la barba e vestito di peli di cammello; il tau e la campanella per Antonio abate, eremita del deserto, e la tenaglia per Apollonia, strumento che ricorda come le furono strappati i denti. Non bastano invece gli attributi delle due tavole rimanenti per scoprire l’identità del santo diacono (sicuramente morto martire, come suggerisce la palma che tiene in mano) e il santo con i capelli chiari e la spada del cavaliere, che va forse identificato con san Maurizio.
Le sei tavolette, giunte entro il 1862 nella collezione di Gian Giacomo Poldi Pezzoli con attribuzione a Masolino da Panicale, hanno conosciuto una complessa vicenda critica. La questione attributiva, in particolare, ha interessato gli studiosi: significativo, in questo senso, il contributo longhiano che nel 1942 ne segnalò la provenienza mantovana.
Un’iscrizione presente nella tavoletta con san Giovanni Battista dal Salmo 113 (“facta est Iudea santificatio”) fa ritenere le tavole opera di Giovanni Salmista di Pietro Mazzucchelli da Bergamo. Tale attribuzione sposterebbe così la datazione dell’opera (tradizionalmente collocata entro il 1460, prima cioè dell’arrivo di Mantegna a Mantova) dopo il 1475.
Lo stile attardato dell’opera, riconducibile peraltro a due mani, può spiegarsi con il fatto che, almeno fino agli anni Ottanta del Quattrocento, l’ambiente mantovano non si era del tutto aggiornato rispetto al nuovo linguaggio rinascimentale introdotto da Mantegna. Una datazione del complesso verso la metà degli anni Settanta non contrasterebbe inoltre con il 1477, anno della ricostruzione della chiesa di San Silvestro cui forse l’opera, ultima manifestazione del tardogotico a Mantova, era stata destinata.
Il restauro ha contribuito a evidenziare la struttura originale delle tavole, che facevano probabilmente parte di un paliotto e che dovevano essere su un’unica asse, successivamente segata.
L’opera, già sottoposta a un restauro molto invasivo nel 1973, è stata trattata con particolare attenzione. Dapprima è stato eseguito un consolidamento della superficie pittorica (prima e dopo la pulitura), seguito dalla rimozione delle vecchie vernici e dei restauri recenti. Per interventi localizzati è stato inoltre necessario l’impiego di una pulitura più approfondita (con specifici solventi) e il ricorso al bisturi. Sono state anche effettuate reintegrazioni di doratura e di pittura, realizzate secondo una tecnica imitativa e ricostruttiva in linea con la destinazione museale dell’opera.
Redazione Restituzioni