Due poderose figure di sante avvolte in sinuosi panneggi occupano il primo piano della pala d’altare in Sant’Ilario a Cremona: Apollonia, sulla sinistra, con i capelli biondi accuratamente intrecciati e Caterina a destra, con la consueta corona e il pezzo di ruota che richiama inevitabilmente l’atrocità del suo martirio. Più in alto e arretrato rispetto alle sante è il vescovo Ilario, santo titolare della chiesa, seduto e in abiti liturgici, con mitra e pastorale, intento a scrutare il volume che regge sulle ginocchia. Colpisce nell’insieme il contrasto che viene a crearsi tra la solennità quasi monumentale di Apollonia e Caterina, rigorosamente in piedi, e il naturalismo che invece traspare dall’atteggiamento assorto e concentrato del santo vescovo.
Il dipinto, inizialmente riferito a Giulio Campi, è stato poi giustamente assegnato al fratello Antonio e ricondotto al settimo decennio del Cinquecento, quando Antonio si era ormai affrancato dall’influenza del fratello, affermando la propria personalità artistica in modo più definito.
Sotto il profilo stilistico l’immagine si caratterizza per un certo classicismo aulico, che è parso un recupero dei modi raffaelleschi e centro-italiani e che risente in particolare della lezione di Parmigianino. La cura del dettaglio e alcuni preziosismi, come ad esempio l’acconciatura di Apollonia, richiamano invece l’insegnamento di Giulio Campi. Ad Antonio va invece completamente ascritta la particolare sensibilità per la ricerca luministica, visibile nel contrasto fra luci e ombre.
Il restauro si è reso necessario soprattutto per l’alterazione di una vernice pigmentata, applicata in un restauro del 1969. Già allora il dipinto doveva presentare una situazione fortemente lacunosa, per estese cadute di colore dovute non solo al naturale degrado ma anche a precedenti puliture, troppo aggressive, con risultati particolarmente negativi in corrispondenza del fondo, del viso e del piviale verde di sant’Ilario. L’intervento, inoltre, si è rivelato importante non solo per il recupero di leggibilità, ottenuto mediante l’opportuna rimozione della vernice e la reintegrazione pittorica, ma anche perché, grazie alle indagini riflettografiche, è stato possibile individuare il disegno e le pennellate preparatorie e apprezzare, infine, la particolare tecnica esecutiva di Antonio Campi, capace di sfruttare a pieno le potenzialità della tempera.
Redazione Restituzioni