La piccola tela raffigura sant’Antonio da Padova a mezzo busto. Egli indossa il saio, ha la mano sinistra aperta mentre con la destra regge sia il libro che il giglio – splendido brano pittorico, quasi una natura morta –, simboli rispettivamente della sua eccezionale sapienza e della sua purezza. La testa del santo è sollevata e girata a destra, con lo sguardo rivolto verso l’alto e un’espressione d’estasiata ispirazione mistica. L’accentuata inclinazione del busto segna una diagonale con la linea delle spalle, conferendo movimento alla struttura compositiva.
Bernardo Strozzi, frate e pittore, nacque a Genova nel 1581. Nel 1630, in seguito a oscure vicende giudiziarie, lasciò la città natale per Venezia, dove morì nel 1644. Al periodo vissuto nella città lagunare risale la tela con Sant’Antonio, dipinta per la chiesa dei Tolentini (dov’è tuttora conservata) probabilmente dopo il 1635, tra il 1637 e il 1640.
Il tema raffigurato è molto caro all’artista, che lo ripete in più versioni con poche varianti, riuscendo a infondere in un soggetto estremamente povero una carica di intensa vitalità.
Nel nostro esemplare, l’elemento pittorico viene messo in massimo risalto: alla materia viene infusa una lievitante luminosità e una penetrante potenza espressiva, in particolare nel volto del santo, dotato di intensa carica psicologica. Nella resa pittorica libera e ariosa e nell’intensità della luce, da cui scaturisce la forza del dipinto, lo Strozzi dimostra di risentire dell’arte veneziana e della tradizione cinquecentesca, in particolare di Veronese (1528-1588).
Si ravvisano nell’opera anche altre influenze. La testa sollevata e inclinata, con lo sguardo all’insù, e la gestualità del santo, sono memori di Rubens, il grande pittore fiammingo che soggiornò in Italia tra il 1600 e il 1608. L’influsso di Johann Liss (pittore tedesco contemporaneo allo Strozzi, che visse a Venezia e lavorò presso la chiesa dei Tolentini) affiora in particolare nella mano che regge il libro, nonché, in parte, nella materia morbida e leggera.
L’operazione di rifodero si è resa necessaria per risanare i difetti di adesione al supporto della pellicola pittorica e per sostituire il telaio, che, segnando il perimetro interno, insisteva sulla parte posteriore della tela. Per realizzare la nuova foderatura si sono utilizzati lino, colla di pasta con antimicotici, colla di pesce, colletta d’amido e carta-riso.
La pulitura è stata eseguita con l’impiego di solventi. Le vernici ingiallite e ossidate sono state rimosse e le pesanti ridipinture ad olio sono state “alleggerite”. Le lacune sono state stuccate utilizzando un impasto di colla di coniglio e gesso di Bologna, mentre la reintegrazione pittorica delle mancanze e abrasioni è stata eseguita utilizzando pigmenti puri. Infine, sul dipinto è stato nebulizzato un velo di vernice mastice.
Redazione Restituzioni