La scena corrisponde a un momento particolare del martirio di san Sebastiano, quando la vedova Irene insieme a un’altra donna, accorre a dar sepoltura al corpo del santo, centurione romano che l’imperatore Diocleziano aveva condannato a esser trafitto con le frecce dei suoi arcieri. Le donne si accorgono che Sebastiano non è morto; lo sciolgono dalle corde che lo legano all’albero ed estraggono le frecce.
Le tre figure risaltano nello spazio per l’aspetto decisamente monumentale, così incombente da chiamare quasi lo spettatore all’interno della scena. La luce esterna al dipinto giunge da sinistra, coglie la nuca di Irene facendo vibrare la veste viola chiaro e illuminando di bagliori dorati il capo della donna. Il corpo del santo, modellato con grande sicurezza e attenzione anatomica, è inondato da un fascio di luce: egli è il cardine della composizione, con le braccia aperte in atto di offerta, percorso da una nota di indefinito patetismo.
Il soggetto non è tra i più usuali di Bernardo Strozzi: la scelta dell’iconografia va quindi ricondotta direttamente alla committenza, per motivi connessi alla pestilenza del 1630-31, trattandosi di un santo assai invocato contro le malattie e oggetto di una profonda devozione popolare.
La proposta di datare il dipinto intorno al 1636 depone quindi a favore di questa tesi, anche se si tratta di un’ipotesi fondata sull’analisi stilistica, non ancora suffragata da dati documentari. Nonostante le scarse notizie coeve, la pala è annoverata fra le opere più note e apprezzate dell’artista; già Marco Boschini la definiva “opera lodevolissima e rara”: apprezzamento che è rimasto immutato nel tempo e che l’ultimo restauro ci consente di confermare con maggiore decisione.
Prima dell’intervento, la superficie pittorica risultava segnata da una notevole crettatura, sul volto e sul busto della donna a destra e sull’addome del santo. Probabili infiltrazioni di acque meteoriche avevano favorito il decoesionamento della materia pittorica in basso e lungo il perimetro; appariva inoltre una lacuna ovoidale (di circa 20 x 12 cm) sulle fronde dell’albero a destra.
Il restauro ha interessato unicamente il testo pittorico; si è infatti deciso di non procedere con una nuova foderatura, poichè l’ultima del 1972 risultava ancora idonea. Si è preferito invece rinforzare il telaio e consolidare il colore; è poi seguita la rimozione delle vernici ingiallite e dei restauri alterati, quindi il risarcimento delle lacune e la reintegrazione pittorica.
Il restauro si è concluso con una stesura, prima a pennello e poi per nebulizzazione, di vernice protettiva.
Redazione Restituzioni