San Michele Arcangelo, guida suprema delle schiere celesti, simbolo per eccellenza della vittoria contro le forze del male, è qui rappresentato in una straordinaria scultura argentea a figura intera, secondo la consueta iconografia di guerriero alato con elmo piumato, corazza di centurione romano, spada e scudo, sul quale sono incise le parole “QUIS UT DEUS”.
L’Arcangelo è colto nel momento in cui sta per colpire il drago già incatenato e vinto, schiacciato dal piede destro di Michele, come a tradurre in figura la suggestiva descrizione dell’Apocalisse. La scultura si compone di diversi materiali, secondo il gusto barocco: l’argento, di cui riluce quasi per intero l’elegante figura dell’arcangelo; il rame per il mantello; il bronzo per il dragone; il bronzo dorato dell’elmo e delle decorazioni; l’acciaio della spada; il ferro forgiato dei supporti interni e infine il legno dipinto della base: un singolare assemblaggio di materiali che esprime una spiccata sensibilità per il cromatismo, secondo una visione artistica unitaria, fondata sull’integrazione fra le varie arti.
Splendido esemplare della plastica barocca napoletana, il San Michele Arcangelo è una delle cinquantadue sculture in argento dei protettori della città appartenenti alla Cappella del Tesoro di San Gennaro nel Duomo di Napoli. Nel 1691 san Michele fu dichiarato compatrono, come descritto in una cronaca contemporanea, da cui è anche possibile ricavare data di esecuzione (1689-91) e autore della preziosa scultura. O meglio, gli autori, trattandosi di un lavoro di équipe che vide coinvolti lo scultore Lorenzo Vaccaro, insieme all’argentiere Giovan Domenico Vinaccia e il celebre pittore Luca Giordano, nel ruolo di supervisore.
L’opera realizzata secondo la tecnica della fusione indiretta, proprio per la varietà dei materiali impiegati richiese un’integrazione di competenze, qui felicemente realizzata. Grazie al restauro è stato infatti possibile recuperare l’originaria policromia e soprattutto il raffinatissimo trattamento delle superfici della scultura, rifinita in ogni sua parte nonostante fosse stata commissionata per essere collocata in una nicchia della sacrestia ed evidentemente concepita per una visione frontale.
Lo stato di conservazione dell’opera era assai compromesso: oltre ai dissesti della struttura interna, i danni maggiori si erano verificati nelle parti più delicate e aggettanti. In particolare il mantello era interessato da spaccature di vario tipo, le ali presentavano sconnessioni nelle parti in prossimità degli agganci e il pennacchio aveva subito, oltre a vistose deformazioni, anche la perdita di alcune piume. In queste zone si riscontravano anche vecchi interventi conservativi, consistenti in saldature e applicazioni di toppe nel mantello.
Il restauro è stato preceduto da un’operazione preliminare di smontaggio del gruppo scultoreo in ogni sua parte, sottoponendo a trattamento di pulitura diversificata tutti i materiali costitutivi, al fine di asportare i materiali di corrosione e per il consolidamento delle parti fratturate. Tutte le superfici sono state infine trattate con materiale protettivo e rimontate. Sono stati infine inseriti due cristalli di rocca, l’uno al posto del vetro azzurro sul petto della scultura, e l’altro sul fermaglio del sandalo del piede posteriore.
Redazione Restituzioni