Le due tele provengono dalla piccola chiesa delle Sante Teuteria e Tosca, dal 1335 giuspatronato della famiglia Bevilacqua. Alla metà del Cinquecento l’edificio fu interessato da una serie di lavori di restauro e di ammodernamento promossi dai fratelli Antonio e Gregorio Bevilacqua, contemporanei al cantiere del vicino palazzo di famiglia sul corso, affidato alla bottega di Michele Sanmicheli. Una parte dell’intervento, tuttavia, fu finanziata direttamente da don Battista Peretti, rettore della chiesa. A lui spettò l’onere degli interventi architettonici e dell’altar maggiore, ai Bevilacqua la gestione dei propri monumenti funebri e degli altari votivi.
Entrambi i dipinti sono datati 1560: ne possiamo dedurre quindi che fossero ordinati e pagati da Gregorio Bevilacqua (Antonio era morto nel 1557), padre di Mario Bevilacqua, il più importante collezionista veronese del Cinquecento. Essi sono citati sui due altari laterali da tutte le fonti settecentesche con una concorde attribuzione a Domenico Brusasorzi. Furono acquistati nel 1811, subito dopo la demaniazione dell’edificio e la dispersione dei suoi arredi, dal conte Luigi Tadini presso “l’indorador sul corso” (corso Porta Borsari, sul quale prospetta palazzo Bevilacqua e, seppure defilata, anche la chiesa), provvisti di una certificazione del collezionista Cristoforo Laffranchini (o Lanfranchini) che ne attestava la provenienza.
Una volta entrate nella collezione Tadini le due tele furono sottoposte a un primo restauro, che comportò una nuova foderatura, limitata al solo San Guglielmo, e un diffuso intervento pittorico.
Il San Francesco, non foderato in antico, fu oggetto di un nuovo intervento nel 1958. In quella occasione, attraverso una serie di prove di pulitura, sotto la stesura pittorica finale se ne intravide un’altra precedente. Durante l’ultimo restauro la tela è stata sottoposta a un’indagine radiografica proprio per appurare la natura di questa prima stesura. Le lastre hanno rivelato le tracce di una figura sottostante, all’incirca delle medesime dimensioni ma in posizione differente, con le braccia aperte e sollevate in alto: si possono vedere entrambe le mani sopra la linea di mezzeria. Si scorgono anche i raggi delle stimmate che corrono verso l’alto fino a essere interrotte dal margine superiore della tela, che in origine doveva essere quindi di maggiori dimensioni e ospitare nella parte superiore una figura del Cristo crocifisso, poi ridipinta più in basso. Ma la tela originale deve essere stata tagliata anche lateralmente: uno dei raggi punta in basso a destra verso il piede sinistro del santo, che ora è troncato di netto.
L’ipotesi più plausibile è che le radiografie abbiano rivelato un pentimento in corso d’opera. Per motivi che non ci sono noti, Domenico Brusasorzi cominciò a lavorare su una tela di dimensioni maggiori rispetto alla luce della cornice che la doveva contenere. Costretto a ridurla, dovette reimpostare completamente la figura del santo, rendendola più raccolta e compatta. Quanto si vede quindi non è il frutto di un rifacimento più tardo. Sia la materia pittorica sia il disegno (per esempio lo scorcio del volto di san Francesco) sono infatti perfettamente compatibili con la produzione matura del pittore veronese. Invece il San Guglielmo non presenta tracce di pentimenti: è presumibile quindi che sia stato dipinto dopo le modifiche apportate al suo pendant.