Insieme con la commissione allo stesso pittore delle quattro tele a soggetto biblico per il castello di Rivoli da parte di Vittorio Amedeo II di Savoia (1720; oggi a Torino, Galleria Sabauda), l’ancona di Francesco Solimena qui esposta rappresenta uno tra gli episodi più rilevanti per la cultura figurativa del Settecento a Torino e, nel contempo, apre quel canale privilegiato per gli artisti napoletani nella capitale che rimane attivo fino alla seconda metà del secolo con Sebastiano Conca, Corrado Giaquinto e Francesco De Mura.
Tra il 1722 e il 1723, il banchiere Gabriele Bogetto finanzia l’esecuzione di una pala d’altare per la locale chiesa dei Filippini, delegando l’architetto oratoriano Giovanni Domenico Perardi a scegliere il pittore e a controllare l’esecuzione: questi stava seguendo, in stretto rapporto con Filippo Juvarra, il complesso cantiere di ricostruzione dell’edificio, gravemente compromesso nel 1715 dal crollo della volta della navata. Di qui la decisione di edificare, all’interno dei muri perimetrali, una chiesa provvisoria, collegata con il presbiterio rimasto intatto, dove il dipinto è inizialmente sistemato, in attesa di trovare il posto definitivo sul terzo altare sinistro, alla conclusione dei lavori.
È molto probabile che sia stato lo stesso Juvarra, come sempre attento in ogni particolare alla regia dei suoi cantieri anche dal punto di vista decorativo, a suggerire non solo il nome di Solimena ma anche la stessa impaginazione compositiva della tela, contraddistinta da un taglio obliquo di moderna e coinvolgente spettacolarità e destinata peraltro a incontrare una notevole fortuna presso i pittori locali. Questa soluzione – in un contrastato turbinare di figure angeliche tra le nubi, una Vergine con il Bambino di luminosa bellezza si rivolge a san Filippo Neri, mentre un angelo in scorcio gli sta porgendo il cuore infiammato – è potenziata sia dalla dinamica sovrapposizione dei piani, sia dall’inedita situazione luministica, sia infine dalle improvvise accensioni cromatiche nei giochi chiaroscurali. Concorre all’originale qualità del dipinto la bella raffigurazione di Torino da sud-est, con il ponte sul Po, la Collina e i potenti bastioni della cinta muraria, senz’altro esemplata su una puntuale veduta spedita a Napoli come modello per il pittore.
L’intervento di restauro ha consentito di restituire una migliore lettura sia alla sontuosa ricchezza del dettato pittorico sia alla condotta esecutiva, priva d’incertezze e quasi in grado di fare a meno del tracciato grafico preparatorio. Del resto, le indagini diagnostiche hanno rivelato la presenza di alcune variazioni progettuali in corso d’opera, da leggere in rapporto con il disegno del Louvre (département des Arts graphiques, inv. 9785 recto) e i bozzetti noti (Torino, Museo Civico d’Arte Antica, inv. 657/D; Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga, inv. 1640 Pint.; Napoli, chiesa di San Domenico Maggiore, sagrestia; Londra, mercato antiquario).