La tela presenta con visuale molto ravvicinata la Sacra Famiglia, descritta con particolare eleganza di forma. Colpisce, innanzitutto, l’impostazione frontale a mezze figure, per l’impatto emotivo di chiara finalità devozionale: la Vergine spicca in primo piano, nel gesto di allattare un paffuto Bambin Gesù mentre Giuseppe appare più defilato e in ombra, escluso dal sottile gioco psicologico creatosi tra madre e figlioletto, tristemente consapevoli di un futuro già scritto.
Curiosa inoltre l’inserzione, nello sfondo a sinistra, del notevole scorcio paesaggistico con l’episodio della Samaritana al pozzo, soggetto non diffusissimo nella pittura rinascimentale ma frequentato da Garofalo in più occasioni.
L’opera è il frutto di un articolato rapporto fra l’artista e gli ambienti culturali della città di Argenta, nei pressi di Ferrara, dove egli aveva inviato altri importanti dipinti di destinazione liturgica.
Qui l’opera era conservata nella chiesa di San Lorenzo, presso il convento dei Cappuccini, prima di giungere a Brera nel 1811. La committenza ci è completamente ignota; considerato però il formato medio-piccolo e la particolarità del brano evangelico citato, con protagonista l’enigmatica donna di Samaria, viene da pensare a un contesto privato e, in particolare, a un’iniziativa femminile. Non esistono purtroppo conferme di carattere documentario; di certo è da escludere, come ubicazione originaria, la chiesa di San Lorenzo, fondata solo nel 1568, a quasi dieci anni dalla morte di Garofalo. Di conseguenza, anche per la datazione non esistono dati certi; solo in base ad alcuni confronti stilistici con altre opere dell’autore, similmente influenzate dal classicismo raffaellesco, è stato possibile ricondurre l’opera ai primi anni Trenta del XVI secolo.
Grazie all’ultimo restauro il dipinto gode decisamente di un miglior grado di leggibilità: Giuseppe è riemerso dall’anonimato in cui la zona d’ombra lo aveva relegato ed è ora figura ben definita nei dettagli anatomici. Scomparsa è anche la patina che appiattiva la superficie pittorica, conferendole una cupa tonalità grigio-bruna, determinata da qualche incauto restauro del passato.
Oltre alle opportune stuccature e reintegrazioni pittoriche, l’intervento si è concentrato sull’eliminazione mediante bisturi di alcune macchie e sul rinforzo dei bordi, dove la tela presentava lacerazioni di varia entità. Reinserita infine nella sua cornice lignea dorata, l’opera ha recuperato l’antica fisionomia, per essere apprezzata in modo più pieno dallo spettatore moderno.
Redazione Restituzioni