Sotto una sorta di arco naturale, formato dai rami nodosi degli alberi, è collocata la Sacra Famiglia, soggetto diffusissimo nell’arte devozionale, qui interpretato con particolare brio e originalità.
Al centro della scena appare la Vergine, comodamente assestata su un seggio; fra le braccia è il figlioletto, completamente nudo, a sottolineare la sua umanità e dunque la sua reale sofferenza al momento del futuro sacrificio. Accanto a loro, in una posizione meno marginale rispetto alla consuetudine iconografica, è Giuseppe, assorto nei propri pensieri e quasi frastornato dagli eventi. Di fronte al nucleo familiare, spostato un po’ a sinistra, appare san Girolamo, nelle vesti del penitente: ripreso di spalle e con il libro in mano, il santo è colto in un momento di intima e partecipata devozione di fronte al piccolo Gesù. Dalla parte opposta, in ginocchio e di profilo, si trova invece il presunto committente, con la tonsura e la veste nera del religioso.
Nella parte alta dell’immagine è infine il dettaglio più curioso del dipinto: una triade di putti si diverte a trascinare la tenda verde, rendendo piacevole un elemento in realtà carico di un complesso significato simbolico, allusivo della rivelazione divina.
La tradizione storiografica vuole il dipinto opera di Antonio Campi, fratello del più famoso Giulio e membro della laboriosissima bottega cremonese. A conferma di ciò è il cartiglio posto di fronte alla base marmorea del trono, affisso su un piccolo tronco spezzato, dove possiamo leggere: “Ant…”.
La stessa base contiene un’iscrizione ricca di informazioni, che ci permettono di identificare il committente con il sacerdote Giovanni Guidoldo. Egli avrebbe disposto la collocazione del dipinto nella chiesa dei Santi Nazario e Celso, dedicandolo al culto di san Girolamo. Dalla scritta si evince inoltre che fu il nipote, Girolamo Piperario (che doveva riconoscersi e immedesimarsi nel ruolo di san Girolamo, come devoto della Sacra Famiglia) a ordinare nel 1546 l’esecuzione della tela: si tratterebbe quindi della prima opera datata di Antonio Campi, dato di importanza fondamentale per la ricostruzione del catalogo dell’artista.
Il restauro ha evidenziato numerose modifiche che occultavano consistenti parti dell’opera. Con ogni probabilità nella sua originaria concezione non era prevista l’applicazione di una cornice terminante ad arco (centina): soluzione che fu invece ben presto adottata, almeno per quanto ci è dato capire dalla sagoma bruna, di forma semicircolare, visibile in alto.
Dalle radiografie è emersa la figura di un personaggio maschile, in vesti contemporanee, che fu però presto coperto. Le analisi hanno inoltre evidenziato una pesante riverniciatura e numerose ridipinture, applicate probabilmente tra fine Settecento e inizio Ottocento quando il dipinto fu trasferito in Sant’Ilario a Cremona. Si è quindi provveduto, dove possibile, alla rimozione di tali interventi, restituendo al testo pittorico una migliore leggibilità, anche grazie al prezioso recupero del dettaglio della colomba bianca fra le mani della Vergine.
Redazione Restituzioni