Splendida testimonianza figurativa del Trecento napoletano, il Ritratto funerario di Uberto d’Ormont è un’opera di grande presenza monumentale e impatto emotivo.
Si tratta infatti di uno dei rari ritratti autonomi dell’arte medievale europea: l’opera è costituita da una parte centrale, di formato rettangolare, con il ritratto a mezzo busto di Uberto d’Ormont – arcivescovo di Napoli nei primi anni del XIV secolo – e da una parte superiore, a sezione triangolare (cuspide), con l’immagine di san Paolo con la spada, strumento del suo esemplare martirio. L’insieme era corredato da una tavola posta alla base (predella), oggi purtroppo perduta, con un’iscrizione celebrativa, resa nota dalle rigorose trascrizioni degli storiografi.
L’opera, riportata al 1320 su base di dati documentari, era stata commissionata dal clero napoletano per la tomba dell’arcivescovo, nel luogo che egli aveva voluto per sé nel Duomo di Napoli, la cappella di San Paolo, detta anche degli Illustrissimi. Il ritratto veniva a collocarsi in una lapide terragna volutamente umile, sulla scia di una tradizione radicata nella Napoli paleocristiana e bizantina. Per quanto riguarda lo stile, invece, la fastosità dell’ornamentazione richiama la cultura figurativa di Simone Martini. La saldezza dell’impianto e l’integrità dei colori ricordano invece l’arte di Pietro Cavallini, attivo a Napoli dal secondo decennio del secolo.
Il dipinto, diviso dalla predella, fu poi spostato già prima del Seicento nell’adiacente sede del Seminario urbano. Qui rimase a lungo, per essere trasferito verso il 1865, presso il Palazzo Arcivescovile e qui restaurato e “musealizzato” come antica testimonianza dell’arte della Napoli angioina.
I restauri eseguiti nell’Ottocento avevano contribuito a sfalsare, accentuandone i tratti realistici, l’opera già compromessa nella sua integrità per un generale stato di consunzione, ben visibile nell’area del volto.
L’intervento odierno potrebbe essere definito “un restauro del restauro”, mirato a ovviare i danni di tali ritocchi. Si è infatti proceduto alla rimozione delle ridipinture, restituendo all’immagine la solidità dei colori originari, dai rossi e grigi della tunica e mantello di san Paolo ai verdi degli abiti liturgici del vescovo, in particolare nei punti dello splendido mantello decorato (piviale), dove è stata riportata in luce una stesura a motivi vegetali in oro su fondo blu, di disegno assai raffinato.
Redazione Restituzioni