Il busto di ignoto personaggio nell’ottocentesca Guida dei marmi del Museo Archeologico della Marciana di Venezia viene descritto come “testa d’uomo declinante alla vecchiaia”. Peculiari di questa scultura sono il volto carico di rughe, la mascella quadrata, gli zigomi sporgenti, le orecchie discoste dal cranio, la corta capigliatura a riccioli appiattiti e compatti, con la frangetta ben squadrata che lascia scoperta l’ampia fronte, le labbra serrate sopra il mento prominente e il naso diritto. Tutte queste caratteristiche conferiscono al personaggio un tono di romantico struggimento, che indusse alcuni studiosi tedeschi a ribattezzarlo “Malinconico”. L’appellativo portò alla definizione dell’autore del marmo come “Maestro del Malinconico veneziano”. Il ritratto faceva parte del gruppo di antichi marmi che Giovanni Grimani donò alla Serenissima il 3 febbraio 1587; tra questi marmi c’erano anche sedici statue che lo zio Domenico aveva già donato alla Repubblica con il suo testamento. La statua riporta il bollo di Domenico Grimani, fatto apporre dal Procuratore de Supra Federico Contarini dopo la morte del Patriarca Giovanni nel 1593; è probabile però che ci sia stato un errore di inventariazione e che si tratti invece di uno dei più numerosi marmi di Giovanni. Potrebbe essere una delle 24 teste depositate presso il convento di Santa Chiara di Murano ricordate nell’inventario del 1523 delle proprietà di Domenico Grimani.
Il busto, come molte delle sculture conservate nel Museo Archeologico di Venezia provenienti da collezioni cinquecentesche, mostra gli effetti di ripetuti interventi di pulitura, generalmente condotti con trattamenti aggressivi. Questi interventi hanno reso le superfici di marmo a grana fine particolarmente permeabili e disgregate, permettendo allo sporco di penetrare e macchiarle in profondità, spesso irreparabilmente. In questo caso specifico, sotto un velo grigiastro di polveri relativamente recenti e sotto un film di cera gialla risalente a un precedente restauro, sono individuabili macchie di varia entità distribuite soprattutto sulle spalle, sulla parte bassa delle guance e sul collo. Le superfici sono state rilavorate in età moderna, come si avverte dall’accentuazione delle rughe, dalla riduzione del busto e dalla levigatezza della zona di contiguità delle due superfici all’altezza della frattura tra testa e busto, risultato forse di uno spianamento finalizzato a far collimare testa e collo che erano staccati e sono stati riattaccati. Sotto una stuccatura recente si può individuare la modalità di giunzione tra testa e collo, effettuata con l’utilizzo di una resina vegetale (colofonia) e di un probabile perno in ferro alloggiato all’interno.
È stata inizialmente esclusa l’ipotesi del distacco delle due parti per il rischio di produrre danni al manufatto. Si è proceduto meccanicamente alla rimozione della vecchia stuccatura del film di cera con ripetute tamponature con cotone e tricloroetilene, e del protettivo sottostante con l’impiego di solventi organici. Il marmo è stato pulito con diverse applicazioni di impacchi di polpa di carta con una soluzione debolmente basica di bicarbonato d’ammonio e tensioattivo, seguiti da risciacqui di acqua deionizzata. Questa operazione ha attenuato ma non eliminato definitivamente le macchie, ormai troppo in profondità. Le concrezioni non solubili sono state rimosse con il bisturi. Dopo il rifacimento della stuccatura con polvere di marmo e resina acrilica in emulsione, il manufatto è stato consolidato con una soluzione a bassa concentrazione di resina acrilica. Infine si è steso un film protettivo di cera microcristallina.
Redazione Restituzioni