Erodoto per primo narra la storia dei figli di Cidippe, sacerdotessa di Hera. Venuti a mancare i buoi per condurre la madre al luogo dei sacrifici, Cleobi e Biton si offersero di trainare essi stessi il pesante carro per un viaggio lungo quarantacinque stadi. Cidippe chiese quindi alla dea una ricompensa per tanta devozione filiale. Hera stabilì di offrire loro il sonno della morte, poiché “è meglio per l’uomo morire piuttosto che vivere”. Secondo l’interpretazione più diffusa il rilievo funerario in oggetto avrebbe come punto di partenza proprio questa leggenda. La storia è narrata (da sinistra a destra) in quattro scene distinte solo da elementi vegetali: 1) la madre è in piedi sul carro trainato da due buoi e dai figli; 2) la madre è davanti alla porta del tempio, mentre i due ragazzi, dormienti, sono distesi sul suolo roccioso; 3) una figura femminile, vestita di chitone e mantello, è pronta a spiccare il volo su di un carro trainato da due cavalli; 4) seduta su di uno sperone di roccia la madre accoglie con gesto affettuoso i due ragazzi. Ci sono indubbiamente degli elementi che si discostano dalla leggenda tràdita, ma la funzione del rilievo, generalmente accettato come lastra di copertura per loculi, consente di comprendere meglio le incongruenze narrative: per una madre che vuole ricordare i propri figli, morti magari giovanissimi, sarà fondamentale segnalare accanto alla speranza di una morte che si trasformi in realtà in un sonno divino, anche il proprio affetto, espresso persuasivamente dall’abbraccio finale. Si può così leggere la figura mitica della terza scena come Selene o l’Aeternitas che allegoricamente conduce nel viaggio celeste i due giovani defunti.
Sulla base dell’analisi fisiognomica dei protagonisti la critica ha potuto precisare l’ambito cronologico del rilievo stesso, databile intorno alla metà del II secolo d.C. Il reperto, noto a Roma gia nel XVI secolo, divenne proprietà di Giovanni Grimani che lo espose nel palazzo di Ruga Giuffa a Venezia. Fu poi inserito, con qualche postuma polemica, nella donazione che il patriarca destinò alla Repubblica di Venezia dopo la sua morte (avvenuta nel 1593). Sopra la porta dello Statuario Pubblico che conduce nella Libreria esso costituisce anche ora la base della articolata composizione che riunisce oggetti legati al culto funerario.
Il reperto, spezzato grosso modo all’altezza della figura femminile, fu riassemblato in epoca rinascimentale, periodo a cui si devono attribuire anche le cornici inferiore e superiore e altre integrazioni. In occasione di questo restauro si è proceduto ad una precisa mappatura dei diversi interventi succedutisi nel tempo, mettendo a punto una sorta di storia conservativa dell’opera. L’analisi petrografica ha inoltre permesso di individuare tutte le tipologie di marmi utilizzati. Il restauro ha inoltre consentito un’accurata pulitura delle superfici, particolarmente quelle del retro, incrostate da molteplici residui.
Redazione Restituzioni