Sulla lastra marmorea sono raffigurati, ai lati, due putti nudi e paffuti, che sostengono un voluminoso festone di fiori e frutta, fra cui sono foglie di vite, grappoli d’uva, melograni, pigne e rosette. La ghirlanda isola nella parte superiore del rilievo una scena figurata con il ratto di Proserpina: Plutone, dio degli inferi, ritto sul carro, cinge col braccio destro la fanciulla, figlia della dea Cerere; i cavalli del carro infernale sono trattenuti dal dio Mercurio, rappresentato di spalle.
Il rilievo faceva parte della fronte di un sarcofago urbano a ghirlande, databile verosimilmente all’inizio dell’età di Adriano (II secolo d. C.). Il tema raffigurato – il mito di Proserpina – è comune in epoca romana a partire dalla fine del I secolo d.C., specialmente su urne, altari funerari e sarcofagi. La scena del nostro rilievo, in particolare, è la rielaborazione di una celebre pittura tardo-classica col medesimo soggetto, attribuita da Plinio nella suaHistoria Naturalis (I secolo d.C.) a Nicomaco, pittore greco del IV secolo a.C.
La lastra, oggi custodita nel Museo archeologico di Venezia, originariamente apparteneva a Giovanni Grimani, patriarca di Aquileia e grande mecenate, che nel 1587 donò alla Repubblica di Venezia la sua raccolta privata di sculture antiche, andando a costituire lo Statuario Pubblico della Serenissima, uno dei più antichi musei pubblici d’arte classica.
L’opera, probabilmente nel Cinquecento, fu sottoposta a un intervento di restauro, che mirava a reintegrare le numerose parti mancanti dell’antico rilievo. Tra gli scultori illustri della Venezia rinascimentale, legati al mecenatismo artistico dei Grimani, che potrebbero avere realizzato i tasselli moderni presenti sulla lastra, vi sono Tiziano Aspetti, Tullio Lombardo, Jacopo Sansovino e Alessandro Vittoria. Ma esiste anche la possibilità che non si tratti di un’opera appositamente restaurata per casa Grimani, ma di un pezzo acquistato già provvisto di integrazioni sul mercato antiquario.
È stato eseguito sul pezzo un accurato e attento lavoro di pulitura. Sono state rimosse macchie di varia natura e un pesante strato di cera, che era stato steso a proteggere le superfici nel corso di un restauro degli anni Settanta del Novecento. Sono state così messe in luce le patine antiche del marmo ora ricoperto soltanto da cera microcristallina. L’intervento degli anni Settanta, inoltre, era responsabile dell’abbassamento delle precedenti stuccature (forse cinquecentesche), nonché della “sigillatura” dei tasselli rinascimentali con abbondante resina epossidica. Si sono, dunque, mitigati gli esiti dei precedenti restauri, restituendo la superficie e il colore originari dell’opera e alleggerendo la presenza di collanti sintetici. La ripulitura ha fornito informazioni interessanti sul conto di manutenzioni, forse dovute a traumi subiti dal rilievo nell’Ottocento e nel Novecento, non altrimenti documentate.
Redazione Restituzioni