Il 14 settembre 1893 l’apertura del sepolcro del vescovo Bono Balbi, situato all’interno della basilica di Santa Maria Assunta di Torcello, consentì il recupero del corredo tombale, tra cui il riccio di pastorale che fu poi ricoverato nel locale Museo Provinciale. Non possediamo molte informazioni sulla figura del vescovo Balbi, tantomeno si conosce la data della sua investitura episcopale, ma fu precedente all’aprile del 1212, quando Bono Balbi riuscì a ottenere dal doge il permesso di erigere un monastero nell’isola di San Michele Arcangelo. Prima della nomina episcopale, svolse l’incarico di arcidiacono della diocesi torcellana e quello di pievano della chiesa di San Donato a Murano. Succedette al vescovo Giovanni Moro. L’iscrizione dipinta sull’archivolto della tomba ricorda la data della morte di Balbi, il 9 settembre 1215.
Il riccio, provvisto di nodo, ha una sezione ottagonale e uno sviluppo a giro semplice terminante in una testa di serpente che racchiude tra le sue fauci una croce. La decorazione pittorica è oggi quasi del tutto perduta, ma le fotografie storiche documentano la presenza degli occhi e del collarino dell’animale, nonché di una serie di riempitivi composti da rosette, arabeschi cuoriformi e piccoli uccelli. Si tratta di un repertorio seriale dai tratti schematici ma allo stesso tempo vivaci ed espressivi, realizzato a punta di pennello con inchiostro nero e foglia d’oro.
Lo stile e la tecnica decorativa confermano l’appartenenza alla produzione dei cosiddetti avori “arabo- siculi”. Nonostante le numerose ricerche, volte a definire i termini sia geografici sia cronologici di tale produzione, allo stato attuale degli studi risulta ancora impossibile stabilire quali siano stati i luoghi di realizzazione dei manufatti, date anche le evidenti disomogeneità. Il carattere di sincretismo culturale di questa produzione ha spinto a ipotizzare l’origine siciliana, o comunque italo-meridionale, anche se la questione resta almeno in parte aperta, date le differenze stilistiche e cronologiche tra i diversi esemplari riconducibili al nostro gruppo.
L’eccezionalità del riccio di Torcello consiste nel fatto che esso è databile con una certa precisione, al contrario della maggioranza degli altri manufatti eburnei “arabo-siculi”. La data della morte del vescovo Bono Balbi ci consente infatti di collocare il pastorale negli anni precedenti al 1215, nel periodo della sua carica episcopale. Un ulteriore elemento di interesse è dato dal fatto che i ricci di pastorale, assieme alle pissidi, costituiscono la tipologia più rara di avori “arabo-siculi”. I ricci in particolare, poiché sono realizzati in una spessa sezione longitudinale della zanna, e non creati tramite l’assemblaggio di placchette come i cofanetti, richiedono una grande quantità di materia prima e comportano numerosi scarti. Furono dunque oggetti di notevole valore economico e indirettamente testimoniano delle disponibilità finanziarie della diocesi torcellana e del suo vescovo in particolare.
Il restauro ha contribuito a risolvere i danni dovuti alla secolare giacenza dell’avorio in un ambiente gravemente deleterio, caratterizzato da altissima umidità. Il drastico cambiamento dell’ambiente conservativo avvenuto dopo il ritrovamento dello stesso, nonché forse un restauro inadeguato effettuato negli anni settanta, avevano comportato un ulteriore deterioramento strutturale con formazione di vistose fessurazioni, lesioni e sfaldature e la perdita di buona parte delle decorazioni.