La stauroteca del cardinale Bessarione è un oggetto straordinariamente complesso e di problematica lettura.
La sua struttura attuale e il risultato di interventi succedutisi nel tempo dei quali è possibile solo in parte comprendere cronologia, sequenza ed entità. Benché il restauro abbia chiarito alcuni aspetti travisati dalla letteratura critica passata, non pochi appaiono i quesiti insoluti che si dovrà cercare di sciogliere incrociando i dati acquisiti con l’intervento conservativo e la campagna diagnostica, con quelli derivanti dalla ricerca archivistica e storico artistica.
Il prezioso reliquiario, che custodisce frammenti della vera croce e della veste di Cristo, deve il suo nome al cardinale Bessarione a cui appartenne per alcuni anni. Prelato di origini greche, Bessarione fu una figura di primo piano nel quadro politico e religioso del XV secolo per la sua attività diplomatica volta a favorire la ricongiunzione delle chiese orientali e di quella occidentale e in un secondo momento a promuovere una crociata contro i turchi che nel 1453 avevano conquistato Costantinopoli.
Egli fu promotore di importanti atti di liberalità nei confronti di Venezia nella speranza di indurre la Serenissima a sostenere la guerra santa indetta da papa Pio II ed è da ricondurre a questa ricerca di consenso il lascito della stauroteca – disposto nel 1463, ma eseguito solo nel 1472 – alla Scuola Grande di Santa Maria della Carità. In precedenza il reliquiario, di proprietà della famiglia imperiale bizantina, era stato donato da Giovanni VIII Paleologo al patriarca costantinopolitano Gregorio Mammas e costui la consegnò alla sua morte, avvenuta nel 1459, al cardinale Bessarione.
Il manufatto e composto da una croce centrale a triplice traversa e dalla sua custodia. Lungo lo spessore della croce un’iscrizione ricorda che Irene Paleologina, figlia del fratello dell’imperatore, l’aveva adornata d’argento.
Per l’identificazione di Irene Paleologina, la proposta più convincente sembra essere quella che la riconosce come colei che andò in sposa a Matteo Cantacuzeno divenendo imperatrice nel 1355. Il fatto che non vi sia alcun riferimento al marito, né alla sua condizione imperiale, fa supporre che il lavoro sia precedente a quella data. L’iscrizione, peraltro, non chiarisce se Irene abbia realizzato ex novo la croce, se l’abbia semplicemente abbellita e se siano da attribuire a lei anche la tabella lignea in cui la croce stessa è stata collocata. Appare piuttosto probabile, comunque, che in origine la croce filigranata fosse un oggetto autonomo e verosimilmente la vera stauroteca contenente la reliquia del sacro legno.
Esistono numerosi esempi di stauroteche cosi strutturate e apparirebbe incomprensibile l’inserimento di un’iscrizione in un punto che nella conformazione attuale dell’oggetto non e più accessibile.
L’intervento conservativo appena concluso e il confronto con il dipinto di Gentile Bellini, oggi alla National Gallery di Londra, nel quale è documentato in modo puntuale il reliquiario al momento del suo arrivo a Venezia, hanno consentito di escludere il riferimento alla committenza di Bessarione, come talora supposto, per le Scene della Passione di Cristo dipinte poiché già nella tavola del pittore lagunare sono riprodotte con evidenti segni di vetusta. Del tutto infondata, inoltre, la notizia che la croce centrale fosse stata privata, tra Otto e Novecento, del retro e che questo si trovi in collezione privata viennese.
Il restauro ha consentito di capire, infine, che parte dell’aspetto attuale del manufatto è dovuto a modifiche eseguite quando ormai apparteneva alla Scuola della Carità. Furono certamente realizzati a Venezia i profili metallici che incorniciano e fissano la croce filigranata, i minuti fiorellini dorati che decorano il fondo della parte centrale della tavola e il restauro delle parti dipinte con la stesura di lumeggiature dorate e di uno spesso strato di vernice.
Valeria Poletto
Foto Stefano Saccomani, Marco Brancatelli (OPD), Giuseppe Zicarelli (OPD)