Tra le reliquie più venerate del Sancta Sanctorum lateranense, un posto di particolare rilievo spetta senza dubbio a quella del capo di Sant’Agnese, martire romana che la pietà popolare circondò di una devozione con pochi confronti nella religiosità medioevale. La giovanissima Agnese (le spoglie appartengono a una giovane di circa 11-13 anni) conobbe il martirio entro gli inizi del IV secolo, più probabilmente intorno alla metà del III, e fu oggetto di un culto precoce dapprima nelle regioni periferiche, poi in tutto l’Impero. Intorno all’anno 324 Costanza, figlia dell’imperatore Costantino, costruì il grandioso santuario sulla via Nomentana, nell’area soprastante il sepolcro della martire, poco lontano da quella prescelta per il proprio Mausoleo. Sotto il pontificato di Onorio II (625-638) fu costruita la monumentale Basilica dedicata alla Santa, ancora oggi esistente. Ma nel 1650, anno in cui avvenne la ricognizione della sepoltura su impulso del cardinale Paolo Emilio Sfondrati, il cranio non si trovava già più da molto tempo insieme al resto delle ossa, perché era stato spostato, al più tardi nel corso del IX secolo, nel Sancta Sanctorum in Laterano. Dal XIII secolo il capo della Santa è stato conservato nel prezioso reliquiario oggetto di questo restauro, fino alla donazione della reliquia alla chiesa di Sant’Agnese in Agone da parte di Pio X (1903-1914). In quell’occasione la teca fu trasferita nei Musei Vaticani.
La struttura del reliquiario, di semplice forma quadrangolare, si compone di una cassa principale, decorata ai bordi da un fregio a fogliami archiacuti, e di un coperchio leggermente strombato. Sul lato anteriore un fermaglio assicura la tenuta del meccanismo di apertura mediante una stringa metallica fissata per un’estremità alla fronte del coperchio e munita dall’altra di un occhiello a testa di serpente il quale, in posizione di chiusura, va inserito in un sistema di anelli passanti. Sulla parte frontale del coperchio si trova l’iscrizione di Onorio III, brunita a caldo in grafia cancelleresca. La sobria eleganza della decorazione, ricavata a sbalzo nello spessore della lastra, e il modulo gotico dell’iscrizione rimandano alle maestranze attive a Roma nei primi decenni del secolo XIII. La scarna essenzialità del reliquiario, esemplato sul tipo del reliquiario a urna, può far pensare a una consapevole ripresa di modelli paleocristiani.
Le superfici del reliquiario versavano in condizioni precarie per la diffusa presenza di solfuri d’argento frammisti a sostanze cerose e prodotti di deposito incoerenti; al di sotto dello strato ossidato i componenti metallici della lega si mostravano invece in condizioni di relativa stabilità. Dopo saggi di pulitura effettuati a vari livelli, il reliquiario è stato accuratamente ripulito dello sporco superficiale con impacchi di detergente non ionico diluito in acqua demineralizzata, quindi liberato dalle sostanze grasse con tamponi di solvente dato per gradi. La pulitura vera e propria è consistita nell’applicazione di EDTA trisodico e bicarbonato con acqua deionizzata e alcol, alternata a risciacqui in acqua deionizzata e successiva disidratazione in alcol. Al termine della pulitura l’intera superficie è stata protetta con un vetro di vernice nitrocellulosica, scelta in base alle comprovate caratteristiche di reversibilità, trasparenza e luminosità del prodotto.
Redazione Restituzioni