Il reliquiario si presenta come una cassetta in argento dorato di forma quadrangolare, interessata sulle fronti e ai lati da lavorazioni incise a sbalzo, e rivestita sul coperchio di smalti cloisonné. Le pareti sono rinforzate agli angoli da bordure decorate con motivi a palmetta e da due fasce orizzontali ornate con un motivo a borchia, fissate superiormente e inferiormente lungo il perimetro della cassa. Sulle facce principali, due coppie di santi a figura intera sono rilevate a sbalzo. Si tratta di san Giovanni Crisostomo e san Nicola di Bari sulla faccia anteriore e di san Gregorio Nazianzeno e san Basilio su quella posteriore. La decorazione incisa sulle pareti laterali riproduce una croce greca iscritta in una ghirlanda geometrica, munita di clipei alle estremità e accompagnata da motivi cuoriformi.
All’interno una lamina d’argento parzialmente incernierata e con una apertura ovale nel mezzo doveva fungere da fermo alla parte superiore del cranio.
Sulla sommità del coperchio, 12 placchette di forma circolare si inserivano in altrettanti tondi dal bordo perlinato. È possibile che i clipei ritraessero in origine i dodici Apostoli, ma soltanto tre ne sopravvivono oggi (san Simeone, san Tommaso, san Luca). La piasta rettangolare al centro del coperchio presenta la figura di Cristo in trono con Maria e san Giovanni Battista ai lati, secondo lo schema tipico della deesis.
Le indicazioni della critica più recente circa l’origine, la fattura e la funzionalità del reliquiario non sembrano soddisfacenti. Il manufatto pare essere stato ottenuto dall’assemblaggio di parti distinte, originariamente destinate a usi diversi.
Per cercare di dirimere la questione è possibile istituire un confronto con opere simili, e in particolare tra i santi clipeati del coperchio di questo manufatto e analoghe figurazioni della maggiore delle due stauroteche applicate al pannello centrale del Trittico di Stavelot (New York, Pierpont Morgan Library). Il risultato dell’esame contrastivo permette in via ipotetica di attribuire la decorazione smaltata a maestranze georgiane operanti agli inizi del Mille, e quella sbalzata ad artefici costantinopolitani attivi non oltre la metà del secolo. Il reliquiario nella sua configurazione attuale sarebbe quindi stato assemblato in un secondo momento, e adattato alla nuova funzione entro il pontificato di Niccolò III. A fissare i fermagli del coperchio è stato in effetti trovato un sigillo che rappresenta un giovane imberbe in atto di pescare con l’amo, recante tra l’altro l’iscrizione che lo attribuisce proprio a papa Niccolò III (1277-1280).
Le varie parti che compongono il cofanetto risultavano precariamente assemblate; le lamine non molto spesse apparivano lesionate e deformate. L’azione combinata di solfuri e di vecchi protettivi di natura cerosa aveva portato alla totale ossidazione delle superfici, ricoperte da polveri e da prodotti di deposito; la doratura si era ridotta nei fregi incisi e nelle zone piane. I clipei superstiti aderivano con precarietà al manufatto; anche la piastrina centrale era deformata. Sono state necessarie, prima dell’intervento, approfondite analisi, affidate al Gabinetto Ricerche Scientifiche dei Musei Vaticani. L’intervento di restauro è stato effettuato con l’ausilio del microscopio ottico binoculare.
Il primo sgrassaggio è avvenuto con tamponi di detergente ionico diluito in acqua demineralizzata. Tramite tamponi di idrocarburi e solventi usati per gradi (alcol etilico, acetone, benzina rettificata, tricloroetano, tricloroetilene ecc.) si è operato per ottenere la solubilizzazione delle sostanze grasse o cerose. Si è quindi proceduto alla pulitura delle parti ossidate dell’argento dorato tramite resine scambiatrici di ioni. Per l’argento non dorato si sono utilizzati impacchi di EDTA trisodico o con tamponi di bicarbonato di sodio. Le lesioni e le fessurazioni delle lamine sono state bloccate con velature interne di seta di Lione e resina epossidica.
Le numerose saldature sono state solo parzialmente assottigliate e pulite. La parte anteriore delle laminette d’oro smaltato è stata pulita con tamponi di alcol etilico denaturato e decolorato, mentre i residui di colle, ceralacca, cere e vernici delle parti posteriori sono stati eliminati con impacchi di tricloroetilene o diluente nitro. Tutte le superfici sono state protette con l’applicazione di due stesure successive di vernice nitrocellulosica (Zapon Lechler) al 30% in diluente nitro. Gli smalti sono stati consolidati con Paraloid B72 al 5% in acetone.
Redazione Restituzioni