Questo reliquiario appartiene a una tipologia di croce diffusa presso i patriarcati orientali, e perciò detta croce “patriarcale”: è caratterizzata da una doppia traversa (crux gemina, “croce doppia”); l’asta superiore, più corta rispetto a quella inferiore, richiama la tabella recante l’iscrizione INRI (titulus) posta sulla testa di Gesù al momento della crocifissione.
Il manufatto poggia su una piccola base in legno dorato. Su un sostegno ligneo, sulla cui superficie sono presenti dei recessi cruciformi per la ricezione delle reliquie, sono fissate due lamine in argento dorato operate in filigrana. Le filigrane, realizzate con filo in argento dorato ritorto e applicato, descrivono fantasiosi motivi floreali, che ripartiscono lo spazio in minute partiture ornamentali. La faccia anteriore della croce è arricchita da 32 pietre semipreziose (turchesi e granate) e presenta due ovali in cristallo “battuto” che fungono da lente. Sulla faccia posteriore, motivi geometrici a rosoni e volute invadono fittamente lo spazio.
Fonti medievali narrano che nel 1231, al tempo in cui i Mori occupavano la penisola iberica, nella città di Caravaca, nel regno meridionale di Murcia, avvenne un prodigioso miracolo: l’apparizione, al cospetto del sacerdote cristiano Ginesio e del re moro Ceyt-Abu-Ceyt, della Sacra Croce portata dagli angeli, evento che indusse alla conversione il sovrano musulmano. Custodita e adorata per secoli, questa Croce era ritenuta un frammento della Vera Croce su cui fu crocifisso Gesù, la stessa che era appartenuta al patriarca Roberto di Gerusalemme, primo vescovo della città santa dopo la liberazione nel 1099 da parte dei crociati. Si trattava di una Croce di provenienza orientale, con la doppia asta seconda la tipologia “patriarcale”. Quel che resta oggi di essa è conservato nel Santuario della cittadina castigliana, all’interno di una teca che è una splendida opera di oreficeria e le cui forme e dimensioni ricalcano quelle della reliquia originale.
È evidente la derivazione del reliquiario qui in esame dalla Croce caravaqueña, poiché presenta le medesime caratteristiche strutturali e decorative – è soprattutto decisiva, ai fini di un confronto, la terminazione a campana del disegno dei bracci. Si ritiene pertanto che la croce provenga da un contesto iberico, nell’ambito dell’oreficeria popolare del XVIII secolo. È probabile l’opera sia stata donata a papa Benedetto XIV (1740-1758), pervenendo così nelle raccolte vaticane.
Il manufatto presentava fenomeni di opacizzazione a causa dell’alterazione dei solfuri d’argento e annerimenti dovuti ad accumulo di depositi incoerenti. Le due lamine metalliche sono state smontate e pulite. Dopo lo sgrassaggio con solvente (diluente nitro), sono state trattate con solventi e complessanti (EDTA trisodico, resine cationiche a scambio ionico, bicarbonato di sodio), risciacquate con acqua deionizzata e disidratate in alcol.
Le pietre sono state pulite con alcol. Le lamine metalliche sono state quindi fissate al sostegno ligneo utilizzando una parte degli originari chiodini in argento precedentemente estratti, mentre quelli fuori uso sono stati sostituiti. Infine l’opera è stata protetta con resina nitrocellulosica.
Redazione Restituzioni