All’Esposizione di Belle Arti indetta a Milano presso il Palazzo di Brera nel 1866, Francesco Valaperta si presentava con una composizione ispirata a un tema appartenente al repertorio del romanticismo storico letterario, Raffaello e la Fornarina, oggi conservata presso i Musei Civici di Varese e in precedenza appartenuta alla raccolta dell’ingegner Riccardo Lampugnani.
Ben prima di Valaperta il rapporto tra Raffaello e la cosiddetta Fornarina aveva stimolato l’estro degli artisti: tra i tanti esempi è doveroso ricordare almeno Raffaello Sanzio che fa il ritratto alla Fornarina di Felice Schiavoni (1834), oggi conservato alla Pinacoteca Civica Tosio Martinengo di Brescia e Raffaello che per la prima volta spoglia la Fornarina di Cesare Mussini (1837), attualmente non reperito ma noto attraverso una litografia di Onofrio Diofebi conservata alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano. L’episodio scelto e narrato da Valaperta in questa composizione, diverso dai precedenti, era esplicitato nel catalogo dell’esposizione di Brera del 1866 nella seguente didascalia che, come era uso ricorrente per la pittura di soggetto storico letterario, accompagnava l’enunciazione del titolo dell’opera: ≪Raffaello negli ultimi giorni di vita, affranto dal male e spossato dalla fatica del lavoro, cerca nelle braccia della Fornarina quel riposo che la fuggente vita gli contende≫.
Ambientata nello studio di Raffaello, cui alludono gli attrezzi da lavoro e, soprattutto, la grande pala con la Trasfigurazione posta a chiudere come una quinta lo sfondo della scena, la composizione punta con decisione sul dramma in atto cosi efficacemente evocato dalla didascalia. Dalla penombra, mediante campiture morbide e luminose di colore, emerge con forza il motivo dell’abbraccio accorato tra i due amanti, forse desunto dai tanti componimenti poetici e dai drammi in versi a essi dedicati nel terzo quarto del XIX secolo da Aleardo Aleardi (1858), Leopoldo Marenco (1873), Giovanni Sebastiani (1873) e da altri autori.
Ancora all’influsso di Francesco Hayez, maestro di Valaperta a Brera, sembra riferirsi il saldo impianto formale dell’opera in esame. Si avvertono tuttavia alcuni fremiti di inquietudine espressi attraverso una più avvertita attenzione alla luce, la stessa che, a ben guardare, connotava la ricerca dei maestri che andavano uscendo dalla Scuola di pittura di Giuseppe Bertini, in cattedra a Brera a fianco dell’anziano Hayez dal 1860. Pur manifestando assai moderate aperture nei confronti dei temi di genere, al tradizionale repertorio romantico Valaperta si sarebbe mantenuto fedele anche in seguito, quando, sul territorio lombardo, la diffusione delle istanze veriste – declinate attraverso il rinnovamento formale promosso dalla Scapigliatura e dal naturalismo – ne avrebbero provocato l’inesorabile declino.
Nel 1980 l’opera è stata sottoposta a un restauro effettuato presso il laboratorio milanese di Mario Rossi; poco più tardi, nel 1987, la ditta Bonomi Ruggero Restauri di Varese è a sua volta intervenuta sulla cornice originale, dotata di racemi vegetali a rilievo posizionati sugli angoli, reintegrando alcune sue parti danneggiate. A causa di diffusi ed estesi sollevamenti della superficie pittorica provocati da una precedente foderatura della tela originale, nel 2004 è stato necessario attuare un nuovo restauro del dipinto, realizzato dalla ditta C.R. Conservazione e Restauro di Milano. Tale intervento non è risultato tuttavia sufficiente ad arrestare il fenomeno rilevato, manifestatosi nuovamente. Si è pertanto reso indispensabile e urgente procedere a nuove operazioni di restauro, affidate nel 2015 alla ditta Rossi Restauri di Milano, che, dopo analisi scientifiche non invasive svolte da Gianluca Poldi, ha ritenuto necessario procedere con il distacco e la rimozione della foderatura. Nel corso dell’intervento è stata riportata alla luce anche la firma per esteso del pittore, di cui in precedenza risultavano visibili solo le iniziali del nome e cognome.
Sergio Rebora