Le quattro terrecotte dipinte di bianco, completamente svuotate nella parte posteriore, raffigurano le Sibille: sono le sacerdotesse dedite al culto di Apollo, che avevano la facoltà di profetare e di interpretare gli oracoli del dio.
Marco Antonio Prestinari fu uno scultore che ebbe un ruolo di primi piano nella scultura lombarda tra Cinque e Seicento. Nel primo ventennio del ‘600, realizzò opere per il cardinale Federico Borromeo, tra cui queste Sibille, datate intorno al 1615. Oggi esposte alla Pinacoteca Ambrosiana, la loro collocazione originaria era probabilmente il piccolo giardino scoperto (peristilio) della Biblioteca.
Le Sibille C e D si caratterizzano stilisticamente per l’aderenza ai modelli classici, senza tuttavia rinunciare a ricercate eleganze nella costruzione delle pose. Degno di nota è, in particolare, il volto della Sibilla D, forse il più riuscito della serie, in cui il canone “antico” convive con una ricerca di espressività sentimentale, riconducibile all’influenza di Leonardo.
Nelle Sibille A e B Prestinari si cimenta con il tema della figura in movimento: egli cerca di raffigurare l’incedere delle figure, mentre il vento gonfia e increspa le loro vesti. Tali soluzioni sono innovative rispetto alla scultura milanese di quegli anni, caratterizzata da un classicismo irrigidito, e risentono forse dell’influenza dello scultore Francesco Mochi (1580-1654), le cui statue anticipano il dinamismo proprio dello stile barocco. Fu all’inizio del ‘600, in occasione di un soggiorno parmense, che il nostro autore probabilmente conobbe le opere di Mochi, scultore protetto dai Farnese, duchi di Parma. Inoltre il contatto con i Farnese, possessori di una ricchissima collezione di sculture antiche, deve aver giocato un ruolo importante nell’educazione antiquaria di Prestinari.
Le statue si presentavano coperte da uno spesso strato di polvere e grassi che le rendeva uniformemente scure. La pulitura ha rivelato la presenza di alcune parti non originali, in stucco, realizzate in occasione di un precedente restauro, che si è deciso di non rimuovere. La pulitura ha inoltre evidenziato la presenza di uno strato di pigmento bianco, a imitazione del marmo (da ricondurre indubbiamente a un intervento antico, ma non si è certi che si tratti di un intervento originale). Sono stati rimossi i piccoli ma diffusi interventi di ridipintura che risultavano alterati nel tono. Sono state integrate le cadute dell’antica pellicola pittorica bianca mediante una velatura sottotono a tempera, mentre le parti interamente rifatte sono state dipinte mimeticamente a tempera.
Redazione Restituzioni