La pisside è utilizzata per custodire le ostie consacrate dopo la Celebrazione eucaristica. Di schietta ispirazione architettonica, quella in esame si caratterizza per una struttura accentuatamente geometrica. Il piede, sviluppato in altezza e privo di ornamenti sulle sei facce, si imposta con ampie curve sul bordo inferiore a due cornici. Al centro del fusto, anch’esso liscio e privo di decorazioni, spicca un nodo a doppio guscio dal profilo aggettante, decorato da medaglioni di piombo in sequenza circolare. I medaglioni sono siglati al proprio interno da testine ornamentali figurate a rilievo. La custodia per l’ostia all’estremità superiore è di estrema semplicità: una cassa esagonale dalle facce modanate chiusa da un coperchio a sezione piramidale, terminante in una sfera ornamentale che funge anche da presa.
La suppellettile fa parte (con il turibolo di cui cfr. scheda 30, Restituzioni 2008), di un gruppo di oreficerie di provenienza svizzero-tedesca. Dopo la chiusura dei conventi di Muri e di Wettingen nella Svizzera centrale, nel 1848 la giunta al potere nel municipio di Lucerna decretò la soppressione anche dei monasteri di Sankt Urban e di Rathausen. La requisizione dei due complessi e l’espropriazione dei rispettivi patrimoni portarono in poco tempo alla dispersione dei beni ecclesiastici. Nel 1851 tuttavia il deciso intervento della Santa Sede consentì di recuperare nel mercato collezionistico privato la parte più significativa degli arredi e delle suppellettili sequestrati. Il nucleo di maggior pregio e interesse fu destinato alla Floreria Apostolica Vaticana, riservandosi il Santo Padre di «restituirli un giorno al culto della Nostra Santissima Religione nelle Chiese, e Conventi della Svizzera, da cui erano stati tolti». La pisside in esame faceva dunque parte di questo gruppo di oggetti e la sua origine, nonché la committenza, deve essere ricondotta all’ambito della Svizzera centrale. Lo stile e la tecnica esecutiva rinviano invece ad ambienti tedeschi, più precisamente all’opera di maestranze attive nella prima metà del XV secolo tra l’Alto Reno e la Baviera occidentale.
L’opera – su cui vi è anche traccia di restauri precedenti – versava in mediocri condizioni, con evidenti segni di sofferenza nella doratura, a causa dell’ossidazione dell’argento, e di diffusi fenomeni di vulcanizzazione. Alla sporcizia presente sulle superfici in metallo si aggiungeva il forte deterioramento dei medaglioni in piombo, affetti dal cosiddetto ‘cancro del piombo’, generato dalla presenza di legno all’interno del fusto. Dopo uno studio preliminare accompagnato dalla relativa indagine fotografica, la pisside è stata smontata nei suoi componenti. Si è potuto così procedere alla rimozione del legno. È stato inoltre trovato un disco di ammortizzamento tra il sottocoppa e la custodia per l’ostia, e un perno di rinforzo all’interno del fusto. Dopo aver sostituito il legno con una lamella in politilene espanso, e dopo l’applicazione di impacchi sgrassanti, si è proseguito con i sali di Rochelle per l’asportazione dei sali insolubili (presenti in forte concentrazione sul rame costituente). La rifinitura finale è stata eseguita con solventi chetonici dati al tampone, mentre per la protezione dei chiodi si è utilizzata resina acrilica. L’intera superficie è stata infine trattata con vernice nitrocellulosa.
Redazione Restituzioni