Di questo piatto da parata, straordinario per ricchezza e qualità e degno di una collezione principesca, non conosciamo con certezza la provenienza. Trovandosi però da sempre nella collezione di opere d’arte decorativa della Galleria Estense, possiamo dare per certa la sua provenienza dalle raccolte dei duchi d’Este nel Palazzo Ducale di Modena, e con più precisione – anche per ragioni cronologiche – dalle collezioni della corte del duca Francesco II (Modena 1660-1694, sul trono dal 1674). È opportuno ricordare che nei vent’anni di regno il giovane duca, salito al trono estense dopo la lunga e austera reggenza della madre Laura Martinozzi, fu affiancato e a volte sostituito nel governo dal volitivo e autoritario cugino Cesare Ignazio, anch’egli collezionista e amante delle espressioni più fastose dell’arte, della natura morta e della pittura di genere. La tipologia a vassoio ovale, comune ad altri piatti analoghi di area tedesca, spesso accompagnati da un versatoio a caraffa, è caratterizzata in questo caso dalla rara associazione tra avorio e madreperla, e da un vasto repertorio di temi acquatici (divinità marine, Nereidi e Tritoni, animali e mostri marini, vascelli fantastici), derivati probabilmente da repertori di incisioni naturalistiche o di tema mitologico. Il piatto presenta sette grandi placchette in avorio e settanta placchette di diverse dimensioni in madreperla. Il medaglione centrale, lavorato magnificamente con sottosquadri di grande virtuosismo, raffigura Galatea, o forse Anfitrite, trainata da due Tritoni. I soggetti marini distinguono il piatto modenese da altri simili, tutti di provenienza principesca e destinati esclusivamente alla pompa (oggi nei musei di Vienna, San Pietroburgo, Braunschweig, Stoccolma). Negli altri piatti conosciuti, infatti, sono raffigurati per lo più temi legati alla caccia, in associazione al corno di cervo utilizzato (come anche in questo caso) per il rivestimento del retro. I rilievi del piatto modenese, sia in avorio che in madreperla, sono di superba qualità e dimostrano un’abilità tecnica di altissimo livello. In alcuni casi lo spessore minimo raggiunto con la lavorazione delle placchette in avorio e davvero infinitesimale. Pienamente barocco e il modellato delle anatomie, con i volumi ben staccati dal fondo con successivi piani degradanti in profondità. La qualità dell’esecuzione e dello stile elegante, e l’ispirazione classicheggiante ma ricca di dettagli naturalistici, rimandano a un artista di grandi capacità ed esperienza, forse Ignaz Elhafen, uno dei maggiori virtuosi barocchi della lavorazione dell’avorio, attivo tra Austria e Germania settentrionale tra Sei e Settecento, al quale il piatto da parata di Modena viene qui attribuito, in attesa di ulteriori ricerche che potranno individuare nella sua cerchia altre personalita artistiche, a lui stilisticamente affini, alle quali eventualmente assegnare con maggiore certezza opere come questa.
S.C.
L’intervento di restauro si è reso necessario per porre rimedio al cedimento della struttura lignea interna, su cui sono incollate, per mezzo di stucco ceroso, le placchette in avorio e in madreperla e, sul retro, le lamelle in corno di cervo. In particolar modo aveva ceduto la tesa che, sottoposta allo sforzo di sostenere i numerosi elementi decorativi, si era progressivamente deformata e inclinata verso il basso. Scopo primario del restauro e stato pertanto il recupero della solidita strutturale del manufatto, con operazioni di consolidamento, raddrizzamento e integrazione della parte lignea. Di fondamentale importanza e stato lo smontaggio parziale del rivestimento eburneo, che è stato condotto con particolare cautela, dato l’esiguo spessore delle placchette in avorio, nelle parti maggiormente scolpite. Questa operazione ha riguardato tutti gli elementi della tesa e buona parte delle placchette in madreperla della vasca, ovvero quelle non più saldamente trattenute dal vecchio collante, ormai alterato. L’incollaggio del punto di contatto della tesa con la vasca è stato effettuato con uno stucco epossidico specifico per legno, che offre particolari garanzie di tenuta e di reversibilità nel tempo. Il rimontaggio delle placchette in avorio e madreperla precedentemente smontate e avvenuto con un impasto di cera d’api e colofonia, lungamente testato nel Laboratorio di Restauro di Mosaici e Commesso in Pietre Dure dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Anche questo materiale, compatibile con le antiche tecniche costruttive di questa tipologia di manufatti, offre ottime garanzie di tenuta e di reversibilità. Particolari cautele sono state prese nel rimontaggio delle grandi placche in avorio della tesa, ridotte dal lavoro scultoreo nella parte centrale a lamelle semitrasparenti: il nuovo collante e stato posto solo lungo i margini perimetrali, dove lo spessore del materiale e maggiore, mentre le parti più fragili sono del tutto libere, garantendo le maggiori condizioni di sicurezza, qualora in futuro si rendesse necessario procedere a un nuovo smontaggio dell’opera.
P.B.