Le due scene mitologiche sono caratterizzate da una visuale molto ravvicinata, che privilegia il momento culminante dell’azione, suscitando un forte impatto emotivo e valorizzando l’aspetto drammatico del soggetto.
Nel primo dipinto è infatti rappresentato l’istante in cui Medusa viene afferrata e decapitata da Perseo, che volge lo sguardo per non rimanere pietrificato: i corpi occupano quasi totalmente lo spazio disponibile, imponendo allo spettatore una partecipazione diretta, senza alcuna mediazione. E’ una scena di omicidio, ripresa in tutta la sua durezza, dove siamo noi a restare pietrificati. Il contenuto della seconda scena è invece meno evidente, anche se l’interpretazione più accreditata rimanda alla vicenda di Circe e Ulisse. Sarebbe infatti rappresentato il momento in cui la maga tende all’eroe la brocca con la bevanda che lo avrebbe tramutato in bestia, come già accaduto per il compagno con orecchie animalesche appena visibile nell’angolo destro della tela.
Per le due opere, che formano un pendant, è stata proposta una datazione intorno alla fine del sesto decennio del XVII secolo, sulla base di considerazioni stilistiche, in mancanza di materiale documentario.
La tecnica esecutiva è infatti rapida, guizzante e nervosa: qui Francesco Maffei mostra tutta la sua esuberanza, libertà ed efficacia pittorica, affine ad altre opere dello stesso periodo. Sono comunque visibili veri e propri ripensamenti, in entrambe le opere. Il più evidente riguarda, nel Perseo e Medusa, la posizione dello scudo, posto alle spalle di Perseo e sostenuto da Minerva. Esso è in parte ridipinto, in modo da trovare una collocazione definitiva dietro la schiena dell’eroe e non davanti, come inizialmente posizionato. Nella Scena mitologica i ripensamenti interessano le due mani della figura femminile: nella sinistra è ben visibile una precedente diversa impostazione delle dita, mentre quella destra è ripresa e ingrandita nella parte superiore in modo poco convincente.
Le opere sono state interessate da un primo restauro nel 1968, appena dopo l’acquisto da parte dello Stato italiano, occasione in cui l’opera venne rifoderata. Sono tuttavia emerse le tracce di un restauro più antico, riconoscibile da alcune stuccature di colore più chiaro.
Con il nuovo restauro è stata mantenuta la foderatura del 1968, mentre l’attenzione si è concentrata sulla superficie pittorica. Sono state così individuate alcune lacune, disposte in entrambe i dipinti sui bordi e sulla fascia inferiore. Ancora, sono emerse alcune abrasioni, dovute presumibilmente a incaute puliture, che hanno determinato anche il danno più vistoso delle opere: l’alterazione nell’equilibrio cromatico degli scuri. Per rigore filologico non è stato possibile intervenire e così alcuni passaggi di colore sono risultati definitivamente perduti, con effetto di appiattimento, purtroppo non sanabile.
Redazione Restituzioni