Destinata a contenere l’Ostia durante la consacrazione, la patena è indispensabile corredo del calice nella celebrazione eucaristica. La patena in oggetto si caratterizza per un’armoniosa partizione esalobata, ricavata a sbalzo e inscritta in un cerchio al centro del disco. Quasi completamente levigata, solo nel mezzo, nel cavetto, presenta come decorazione una figura di vescovo in atto benedicente. La figura, a mezzo busto tra le lettere S e M, è lavorata a smalto secondo la tecnica champlevé (una tecnica che, al contrario di quella denominata cloisonné, è sottrattiva, opera cioè togliendo materia e non aggiungendola).
Non è possibile, per mancanza di documentazione, risalire all’originaria collocazione di questa patena. Si può tuttavia notare che se da un punto di vista formale la destinazione liturgica del manufatto riflette una tipologia largamente attestata tra XIV e XV secolo, la caratterizzazione ‘ritrattistica’, tesa e concentrata, dell’effigiato, rimanda a livelli di elaborazione più avanzati. Fondamentale è infatti il disegno, come si nota dalla distribuzione dei volumi, dalla nitidezza dei contorni, dall’attenzione per il dettaglio e dalla padronanza degli effetti di chiaroscuro: spiccano così i rapporti di questa immagine con la grafica e l’oreficeria italiane della fine del Quattrocento. In tale contesto sembra possibile avanzare l’ipotesi che il santo rappresentato sia san Martino (dal 371 vescovo di Tours), venerato nell’Europa del tempo e patrono di molti comuni dell’Italia centrale. L’iconografia di san Martino contemplava tre diverse soluzioni: la raffigurazione a cavallo mentre compie il gesto di dividere il suo mantello con un mendicante; in veste di legionario, a piedi o a cavallo; con la mitra e la croce, in abiti cioè vescovili. Il confronto con opere di oreficeria che presentano analoghi tratti stilistici, ossia il persistere di elementi arcaici nella struttura accanto ad una tecnica avanzata nelle decorazioni, permette di assegnare la patena in esame a un’area di produzione centro-italiana (toscana o umbra), tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo.
La suppellettile si presentava in un discreto stato di conservazione, ma la doratura appariva seriamente compromessa, con macchie e deformazioni che ne alteravano localmente la superficie. In seguito ad uno studio preliminare accompagnato dalla relativa analisi fotografica, la patena è stata sottoposta a lavaggi e ripetute immersioni in bagni di acqua e tensioattivo; dopo accurati risciacqui in acqua deionizzata, le superfici sono state ritoccate al tampone con bicarbonato di sodio per eliminare le macchie e armonizzare la patina residua; il cavetto figurato, decorato a smalto, è stato trattato a parte, pulito e consolidato. L’intera superficie è stata protetta con vernice nitrocellulosa.
Redazione Restituzioni